venerdì 31 luglio 2009

L'essenziale è invisibile agli occhi

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "... piangerò".
"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"È vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"È certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse: "Và a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto".
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa".
E ritornò dalla volpe.
"Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripetè il piccolo principe, per ricordarselo.
"È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"È il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripetè il piccolo principe per ricordarselo.

[Da Il piccolo Principe - Antoine de Saint-Exupéry, cap. XXI]

giovedì 23 luglio 2009

Che lavoro fai?

Il signor F. era un uomo normale e lo era fin da piccolo.
Il signor F. ogni mattina si alzava alle 06:30.
Doccia, dentifricio alla menta sullo spazzolino che cambiava regolarmente ogni mese, filo interdentale. Deodorante per le ascelle e due gocce di profumo sul collo, quindi passava alla vestizione.
Polo grigia con bande rosse sulle maniche e il logo della TOTAL sul petto, pantaloni grigi anch’essi con bande rosse laterali, scarpe antinfortunistica, berretto.
Il signor F. era un uomo normale e i suoi genitori erano fieri di lui, o almeno suo padre lo era. Sua madre era scomparsa qualche anno prima.
Non beveva e non fumava perché quelli erano vizi che solo gli scansafatiche potevano permettersi, come gli attori o i filosofi, non lui. L'intera economia del Paese poggiava sulle sue spalle e lui questo lo sapeva bene e di questo ne era orgoglioso.
Il signor F. aveva tirato su la sua stazione di servizio dal nulla, ed ora essa si ergeva maestosa nella campagna come una cattedrale nel deserto, dissetando le auto e i conducenti che si fermavano lungo la strada provinciale che dal suo paese portava al successivo.
Nella sua piccola Las Vegas ogni viandante poteva trovare oltre che benzina di ottima qualità, della quale effettuava personalmente il controllo ogni mattina, sigarette, chewingum, fazzoletti e ogni tipologia di deodorante e prodotto per la cura della propria vettura.
Si, a vederlo così realizzato il signor F. appariva agli occhi di tutti come un uomo davvero soddisfatto e in realtà lo era.
La sera, dopo aver chiuso la cassa e attivato la modalità self service, il signor F. chiudeva a chiave il suo ufficio: tre mandate in alto e due in basso, quindi prendeva la sua bella auto che provvedeva a spolverare ogni giorno tra un cliente ed un altro e tornava a casa.
Il signor F. non aveva una fidanzata ma d’altronde non ne sentiva neanche la necessità. Non che le occasioni non gli mancassero intendiamoci, un partito del genere faceva gola a molti padri giù in paese, ma come diceva lui non aveva ancora trovato una ragazza con la quale condividere il suo sogno.
Una bella casa, una bella moglie, due o tre figli, un cane in giardino. Un camper per fare le vacanze al mare. Tutti valori per i quali qualsiasi donna, ai suoi occhi, avrebbe dovuto far follie eppure il signor F. era solo. Tutte le sue fidanzate erano scappate con il solito figlio di buona donna scansafatiche senza arte né parte e lui ogni volta non riusciva a spiegarsi il perché. Semplicemente giustificava la fuga come un segno del destino: quella non era la donna giusta per lui, evidentemente.
Il signor F. era un gran lavoratore e questo tutti in paese lo sapevano e di questo lui era molto orgoglioso.
L’unica debolezza del signor F. erano i fumetti di dylan dog, per i quali nutriva una vera mania. L’acquisto di ciascun numero verso la fine del mese era un vero e proprio rito che si svolgeva secondo un preciso numero di azioni definite.
Innanzitutto la scelta dell’esemplare avveniva di mattina presto, ovvero non appena il giornalaio riceveva le copie dal fornitore. Il signor F. passava in rassegna tutte le copie scegliendo alla fine quella che presentava ai suoi occhi il minor numero di difetti. La distribuzione del colore di copertina doveva essere quanto più uniforme possibile, il dorso non doveva recare alcun segno di usura da sfregamento o altro, quindi il taglio delle pagine doveva essere regolare e secco.
L’apertura del volumetto per consentire la lettura delle pagine avveniva sempre con un angolo non superiore ai 38°, posizione ottimale affinché i bordi esterni della copertina non si lineassero.
Terminata la fase di lettura ciascun prezioso esemplare veniva prima inserito in una apposita busta e sigillato per preservare colori e carta dall’invecchiamento, quindi inserito in bell’ordine sullo scaffale della libreria dove avrebbe passato il resto dei suoi giorni in compagnia dei suoi simili.
Il signor F. era molto orgoglioso della sua collezione e anche lei lo era, perché quei volumi rappresentavano gli unici libri presenti in casa sua.
A volte, dopo aver visto la tv, il signor F. si soffermava sul balcone della sua bella casa a guardare le stelle. Gli piaceva pensare a quei puntolini luminosi come piccole pompe di benzina nel cielo, dove gli UFO potessero far rifornimento alle proprie astronavi. Ma il signor F. non era un sognatore e ogni volta, ricacciava dentro quelle stupidaggini scuotendo la testa, quindi andava in camera da letto, riponeva la divisa in ordine sulla sedia accanto al comodino, infilava il pigiama e dopo aver spento la luce, si addormentava.
Il signor F. non si poneva mai domande perché egli aveva già tutte le risposte.
Al signor F. non piaceva quando le donne lo fissavano dritto negli occhi: esse non avevano alcun diritto di farlo.
Di tanto in tanto il signor F. si concedeva una uscita con gli amici, per andare a divertirsi in qualche bar del centro e quando qualcuno gli chiedeva Che lavoro fai? Egli semplicemente rispondeva il benzinaio. Non aveva bisogno di parole inglesi per definire il suo lavoro come facevano gli amici di infanzia. Account Manger, Project Developer, Unit Reseller, Geometra. Lui era semplicemente il benzinaio e per questo tutti lo rispettavano, come il prete, il sindaco e il maresciallo della caserma.
Si, il signor F. era un uomo normale, la sua vita scorreva placida e odiava sua madre per tutte le botte che gli aveva dato da piccolo, per tutte le domande alle quali non aveva mai dato una risposta, per ogni boccone che aveva dovuto ingoiare controvoglia, per ogni volta che lo aveva pettinato con la riga sulla sinistra e lui avrebbe preferito sulla destra.
Il signor F. era un lavoratore, un uomo, un rispettabile membro della comunità ma quando la madre del signor F. scomparve, così, nel nulla, da un giorno all’altro, egli non versò nemmeno una lacrima.
La stessa sera in cui la madre del signor F. scomparve, il signor F. aveva personalmente effettuato la gettata di cemento per installare la nuova colonnina dell’aria compressa per il controllo dei pneumatici.
Il signor F. fissava ogni giorno quella colonnina e si sentiva orgoglioso di averla installata, nella sua stazione di servizio sulla strada provinciale che dal suo paese porta al successivo.

giovedì 16 luglio 2009

La mia strada

E ora la fine è vicina
E quindi affronto l'ultimo sipario
Amico mio, lo dirò chiaramente
Ti dico qual è la mia situazione, della quale sono certo

Ho vissuto una vita piena
Ho viaggiato su tutte le strade
Ma più. Molto più di questo
L'ho fatto a modo mio

Rimpianti, ne ho avuti qualcuno
Ma ancora, troppo pochi per citarli
Ho fatto quello che dovevo fare
Ho visto tutto senza risparmiarmi nulla

Ho programmato ogni percorso
Ogni passo attento lungo la strada
Ma più, molto più di questo
L'ho fatto a modo mio

Sì, ci sono state volte, sono sicuro lo hai saputo
Ho ingoiato più di quello che potessi masticare
Ma attraverso tutto questo, quando c'era un dubbio
Ho mangiato e poi sputato
Ho affrontato tutto e sono rimasto in piedi
L'ho fatto a modo mio

Ho amato, ho riso e pianto
Ho avuto le mie soddisfazioni, la mia dose di sconfitte
E allora, mentre le lacrime si fermano,
Trovo tutto molto divertente

A pensare che ho fatto tutto questo;
E se posso dirlo - non sotto tono
Oh No, oh non io.
L'ho fatto alla mia maniera

Cos'è un uomo, che cos'ha?
Se non se stesso , allora non ha niente
Per dire le cose che davvero sente
E non le parole di uno che si inginocchia
La storia mostra che le ho prese
E l'ho fatto a modo mio

--
Frank Sinatra - My Way (1969)
Scritta da: Paul Anka, Claude Francois, Gilles Thibault, Jacques Revaux

mercoledì 15 luglio 2009

V, 11 Luglio 2009

Ho pianto quella notte, come non avevo mai fatto prima, urlando il dolore per la mia morte.
Gridando la rabbia per la mia nascita, ho sbattuto i pugni contro il muro fino a far sanguinare le mani e con le lacrime ho lavato il mio corpo da tutte le mie vite passate, dai paradigmi, gli schemi, le falsità, i concetti astrusi.
Gli stessi occhi che mi hanno donato la morte, mi hanno donato la vita e condotto nel buio attraverso il vuoto.
Non ho più certezze a parte le poche rimaste. Quelle che avevo perso.
Sono un allievo desideroso di apprendere, perché tutto ciò in cui credevo è morto.
E mi sento vivo, come mai prima d'ora.
Ci siamo strappati a vicenda gli occhi, donandocene di nuovi.

A R. che con i suoi occhi mi ha fatto ricordare chi sono.
A P. che con il suo amore, mi ha reso libero.


venerdì 10 luglio 2009

Life...

Stai con me, amore mio, adesso. Domani. Sempre.
Stai con me, luce del mio mattino, affinché la tua luce possa illuminare la mia strada.
Stai con me buio della mia notte, affinché possa perdermi sempre nei tuoi occhi.
Stai con me amore mio, affinché possa avere ancora un'alba da guardare e un tramonto con cui chiudere gli occhi.
Donami sempre il tuo sorriso e non sarò mai più povero.
Disperdi le mie ceneri nella tua anima e vivrò per sempre.

lunedì 6 luglio 2009

Modì

Si adagia la sera
su tetti e lampioni
e sui vetri appannati dei bar
e il freddo ci mangia
la mente e le mani
e il colore dell'ambra dov'è?
ripensa alla luce
e al sole d'Italia
che Dante d'autunno cantò

che io sto vicino a te
e tu sai perché
stai vicino a me
questa notte e domani se puoi

ricordi via Roma
la luna rideva
lì ti ho scelto e voluto per me
mi guardavi e parlavi
dei volti tuoi strani
degli occhi a cui hai tolto l'età
e ora si scioglie la sera
nei pernod, nei caffè
nei ricordi che abbiamo di noi
per amore tradivi
per esister morivi
per trovarmi fuggivi fin qua
perché Livorno dà gloria
soltanto all'esilio
e ai morti la celebrità

ma io sto vicino a te
in silenzio accanto a te
stai vicino a me
questa notte e domani se puoi

questa notte e altre notti
verranno anche se
non sentiremo ancora cantar
ascolteremo la pioggia
bagnarci i colori
e mischiare i miei pensieri nei tuoi
ormai è l'alba e ho paura
di stare a restare
da sola a scordarmi di noi

e allora sto
vicino a te
anche se non vedi che
io son qui vicino a te
questa notte e domani
sarò...


Vinicio Capossela, Modì (1991)

venerdì 3 luglio 2009

Nel blu.

Sono qui, ci sono eppure non sono lo stesso.
La lunga assenza è stata solo l'effetto di un ovvio cambiamento che era in atto, anche se io non lo sapevo ancora.

Ho bisogno di trovare ancora altri occhi per guardare il mondo.
Ho bisogno di rinascere un'altra volta forse.

Devo capire, anche se non so dove andare o come.

Forse da oggi il cielo è un po' più blu come non lo era da quindici anni, forse è solo il tramonto di un'alba iniziata anni fa, forse è solo la quiete prima della tempesta.

Sono qui, pronto a ricominciare un'altra volta e questo per adesso mi basta.