lunedì 20 ottobre 2008

Conversion

Il momento era finalmente arrivato. Di li a poco gli infermieri sarebbero entrati nella piccola stanza posta al terzo piano del centro di riconversione per accompagnarla in sala di estrazione prima e in sala di incisione poi. La finestra era socchiusa, quanto bastava affinché gli odori della primavera solleticassero il suo naso e il suo corpo, nudo sotto il leggero camice bianco annodato sulla parte posteriore, cominciasse ad incresparsi di leggeri brividi. Il roseo e flaccido culo, la lunga e sinuosa schiena, le iper abbondanti cosce, i fianchi generosi. Niente era lasciato all'immaginazione di chi, passando lungo il corridoio, avrebbe voluto sbirciare l’interno della stanza, attraverso la porta socchiusa. Ma purtroppo per Marina, nessuno era interessato a stuzzicare la propria immaginazione con un involucro del genere.
Il grande specchio posto sopra il lavabo della parete di fronte sdoppiava l’interno e Marina, stufa di aspettare il suo turno, si alzò dal letto, vi si avvicinò e lentamente si sfilò via il camice. Erano anni che non fissava il suo corpo o forse, lo aveva fissato e odiato troppe volte per continuare a farlo.
Osservò con attenzione quei seni lunghi, grossi ma tutto sommato ancora sodi per quanto guardassero sempre verso il pavimento, solcati qua e là dalle smagliature causate dall’allattamento di Luca, di Matteo e infine di Giada. Accarezzò quel ventre rugoso e flaccido come uno shar-pei, coccolato tante volte durante le tre lunghe attese e quelle cosce affusolate come una pera capovolta che un tempo erano il suo orgoglio e che suo marito non sfiorava più da anni. Marina non era più una donna, si era ormai trasformata nel peggiore degli esseri umani: una mamma. Una madre tenera, affettuosa e premurosa pronta a donare tutta se stessa agli altri anche a discapito di se stessa. Una madre sempre pronta ad asciugare il nasino gocciolante dei figli con il fazzoletto riposto all’interno della manica, a consolarli quando si sbucciavano un ginocchio cadendo dalla bicicletta, a non far mai mancare una fetta di torta per la merenda. Marina era una di quelle donne grasse che ispirano fiducia e tenerezza, quelle che vorresti coccolare quasi fossero un animaletto da compagnia e questo era ormai per suo marito: un animaletto da compagnia grasso.
Eppure in lei l’ardore, la voglia di esser la peggior puttana nel letto per il suo uomo non si era mai sopita, ma quel corpo le aveva ormai precluso ogni possibilità di portare a termine qualsivoglia intento amoroso. Non che suo marito non la amasse, intendiamoci, ma con l’andar del tempo e l’inspessirsi della sua figura, egli aveva semplicemente trasformato l’amore fisico di un tempo in un sentimento mentale, fatto di rispetto, di casti bacini sulla guancia al mattino, sul ciglio della porta prima di andare al lavoro e di teneri baci sulla fronte prima di dormire. E quei baci per Marina, bruciavano più del fuoco. Proprio lui, che non perdeva mai occasione di carezzarle i seni quando questi erano giovani e rivolti alla luna. Proprio lui, che tempo addietro aveva accarezzato e amato il suo corpo in tutti i modi possibili, aveva semplicemente ridimensionato il suo sentimento in un rapporto fraterno, nell’attesa che la conversione venisse effettuata. Possibile che non riuscisse ad andare oltre quell’involucro, si era sempre chiesta Marina? Eppure il suo interno era sempre lo stesso, non era mutato. Certo, alcuni modi di fare nel corso del tempo erano variati, i suoi modi erano cresciuti come il suo corpo, ma tutto sommato lei era la stessa donna della quale suo marito si era innamorato in quel lontano giorno di Settembre, quando la vide uscire dall’atelier nel quale ogni tanto sfilava per arrotondare un po’ durante i suoi studi.

- “stanza 245… 20 minuti!”

L’urlo dell’infermiere di turno riecheggiò forte per il corridoio. La stanza 245 era la sua.
Venti minuti, ancora venti minuti e poi sarebbe stata una donna nuova o, per meglio dire, sarebbe stata nuovamente la se stessa di trenta anni fa. Suo marito non aveva badato a spese, aveva scelto il modello più costoso e come per lui, che aveva fatto la conversione tre anni prima, aveva dato incarico allo stesso artigiano di creare un involucro unico appositamente per lei, sulla base di una foto che lui stesso le aveva scattato sulla spiaggia di Alassio quando erano fidanzati, una foto in cui Marina dimostrava tutta la sensuale bellezza dei suoi vent’anni. Almeno non avrebbe rivisto la sua faccia sulle tante persone che acquistavano i modelli economici sui cataloghi della clinica, su internet o nei centri commerciali e che affollavano i mezzi pubblici al mattino. La pelle veniva coltivata in apposite serre, i nasi, le orecchie, le lingue e tutti gli orpelli, anche i più intimi, venivano fatti appositamente crescere sul dorso di topi da laboratorio. Certo, l’idea di avere in bocca e tra le cosce dei pezzi di sorcio non la allettava molto, ma questo era il prezzo da pagare per vivere per altri cento cinquanta anni accanto ai suoi figli, ai suoi nipoti e ai nipoti dei nipoti. Da quarant’anni ormai nessuno aveva più bisogno di trasfusioni o di trapianti, le malattie genetiche, i tumori erano solo un lontano e triste ricordo del passato. I muscoli erano composti da una schiuma che una volta spruzzata sull’esoscheletro di policarbonato di titanio, si espandeva andando a formare le striature, i tendini e tutte le caratteristiche tipiche del muscolo umano. Tutto il sistema veniva irrorato da un liquido per consentire il raffreddamento dell’impianto e del quale gli scaffali dei super erano pieni. Per ovviare il problema della sovrappopolazione era stato stabilito dal Comitato Internazionale di Conversione Umana che la vita di un uomo, comprese le successive proroghe ed eccezion fatta solo per coloro i quali si erano particolarmente distinti in vita, non poteva mai superare i duecento anni. Di fatto c’era gente che circolava da molto più tempo, bastava conoscere le persone giuste e allungare qualche euroyen. La loro data di disattivazione era stata fissata dall’ufficio disattivazione del comune per il 28 luglio del 2238: la stessa data per entrambi, così almeno nessuno dei due sarebbe rimasto senza compagno. In quei tre anni dopo la conversione, aveva visto suo marito sempre lo stesso: nessuna nuova ruga a segnare il volto, nessun capello che un mattino avesse deciso di cambiare colore o di abbandonare per sempre la sua sede, eppure a lei era piaciuto così tanto vederlo invecchiare nel corso dei suoi primi cinquant’anni con il suo corpo iniziale, perché significava averlo accanto, comprendere i suoi acciacchi al mattino, la sua tosse da fumatore incallito. Perché anche questo significava amarlo. Poi, di colpo, da una giorno all’altro, lo aveva rivisto esattamente come lo aveva conosciuto, con lo stesso aspetto dei suoi splendidi trent’anni. In quei tre anni non lo aveva più sorpreso a canticchiare di fronte lo specchio del bagno, mentre cospargeva di schiuma la sua faccia per radersi o sorridere dopo aver riempito un tumbler di ghiaccio, per il crepitio prodotto dai cubetti quando venivano annaffiati da una abbondante dose di Jack Daniel’s. Gli involucri non avevano bisogno di cibo, di alcool, di vita. Due pile ad atomi di idrogeno consentivano l’autonomia per qualche centinaio di anni. Gli uomini non morivano più semplicemente si spegnevano, per legge. E per la data prefissata si organizzavano delle grandi feste di commiato, dove si rideva, si scherzava e si prendeva congedo dai propri cari. Feste senza cibo, feste senza lacrime: l’esoscheletro non poteva. Avrebbe sopportato le lamentele di sua suocera per altri centosessanta anni, a meno di un miracolo. Di per se la conversione era semplice e non durava mai più di due o tre ore, in funzione di quanto un uomo aveva vissuto ed accumulato in termini di ricordi e conoscenza. La memoria veniva estratta e registrata su appositi supporti di storage per il trasferimento e quindi riversata all’interno dei banchi contenuti all’interno dell’involucro prescelto. A richiesta, con un piccolo extra, prima dell’incisione era possibile filtrare alcuni ricordi: quegli episodi che chi più chi meno abbiamo tutti e che cerchiamo di dimenticare rilegandoli nella parte più nascosta dell’ipotalamo. Un piccolo gesto e quei ricordi non ci sarebbero stati più davvero e questa volta per sempre. Nel corso dell’operazione, si potevano vedere sul monitor le immagini dei ricordi volare da una cartella all’altra. Un foglietto per il suo primo giorno di scuola, un altro foglietto per quella giornata al mare, d’inverno, quando aspettava Matteo e si divertiva con Luca a far rimbalzare i sassi piatti lungo la battigia. Un altro foglietto per l’odore di Giada appena nata. Un altro per la prima volta che aveva fatto l’amore con suo marito, sul pianerottolo all’ultimo piano del palazzo dove lei abitava allora. Un altro per la sua anima. Al risveglio, dopo un piccolo periodo di riabilitazione per adattarsi alla nuova scatola, semplicemente si proseguiva la propria vita all’interno di un altro involucro del tutto simile al modello primario donato dalla natura. Il calore, la luce, gli odori e tutte le altre sensazioni venivano interpretate ed elaborate dai processori contenuti all’interno e una volta trasformati in impulsi, venivano inviati all’unita centrale di immagazzinamento che al termine consentiva di percepire una sensazione del tutto identica a quella provata dai corpi naturali. Il gusto non era finalizzato al nutrimento, ma solo al piacere personale, per poter ricreare nel cervello le stesse sensazioni di un corpo old style. Tutto quello che veniva immesso finiva praticamente intonso in una sacca contenuta all’interno del ventre che una volta riempita, finiva negli appositi centri di compostaggio. L’unica rottura era il doverla ripulire poi per bene con prodotti specifici. Una rottura che a lungo andare, placatisi gli entusiasmi dei primi tempi, stancava e la gente finiva per non usare più.
Certo questo era davvero un peccato, soprattutto per lei che adorava così tanto sorseggiare un buon bicchiere di gewurztraminer nei lunghi calici di cristallo che avevano nella vetrina della sala da pranzo.

- “stanza 245… 10 minuti!”

Marina si rinfilò il camice: la nuda verità riflessa allo specchio cominciava a darle noia.
Di li a poco sarebbe stata perfetta: bella, soda e fresca come una volta e non ne vedeva l’ora. Aveva atteso quel momento per due lunghi anni, il tempo necessario alla costruzione del suo modello personalizzato. Avrebbe fatto sesso, di nuovo e di nuovo per la prima volta. Anche in quel campo gli scienziati non si erano certo risparmiati riuscendo a riprodurre esattamente gli stessi impulsi mentali e le stesse sensazioni prodotte dal corpo di default, soltanto non occorreva più preoccuparsi di eventuali gravidanze inattese per coloro i quali, come lei, avevano scelto di partorire in modo naturale. Anche per questo avevano deciso di fare il salto solo una volta che fossero arrivati ai cinquanta anni e i figli fossero ormai grandi. Tutte le sue amiche avevano partorito come ormai era di moda, in vitro ma loro avevano scelto di farlo come una volta, come le loro madri avevano fatto con loro e le loro nonne prima di loro. Erano delle persone semplici in fondo.
Ma i suoi figli, continuava a domandarsi Marina, l’avrebbero amata ancora come prima? Matteo le avrebbe di nuovo slacciato il grembiule, avvicinandosi pian piano alle sue spalle ogni volta che la sorprendeva intenta a cucinare, per poi farsi perdonare dandole un grosso bacio? E Luca? Non avrebbe più potuto fare quelle sue stupide battute sulle sue forme dopo averne misurato la circonferenza con un abbraccio. E Giada, la piccolina di casa, non avrebbe più potuto rifugiarsi a piangere sul suo grosso e morbido seno quando l’ennesimo figlio di buona donna l’avrebbe mollata. Avrebbe avuto di nuovo vent’anni fino alla morte, una morte prefissata della quale avrebbe potuto contare i secondi che intercorrevano. Mai più un raffreddore di stagione, mai più gli occhi gonfi per l’allergia primaverile. Ma l'alternativa era invecchiare, morire in una data imprecisata, non vedere i propri nipoti crescere e farsi uomini, donne. L'alternativa era vivere alla giornata come tanti secoli fa, buttando via tutte le conquiste della scienza. Si, l'unica era farsi convertire, come avevano fatto tutte le sue amiche, sua suocera, suo marito. Era l'unica cosa saggia da fare.

-“stanza 245, paziente 678-05-454-2, è ora”

L’urlo dell’infermiere riecheggiò nella stanza vuota dove un camice bianco era disposto in bell’ordine ai piedi del letto. In sessant’anni di servizio era la prima volta che gli accadeva di assistere ad una cosa del genere: nessuno aveva mai rinunciato all’immortalità, alla giovinezza eterna. Alquanto stupito e irritato per la mole di moduli che gli sarebbe toccato compilare, non gli rimase altro da fare che correre ad avvertire la caposala che l’intervento delle 15,30 era annullato.

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[Immagine] Fernando Botero - Donna allo specchio

25 commenti:

Ross ha detto...

Passavo per un saluto.
Il racconto torno a leggerlo e a godermelo più tardi, con la dovuta calma. Aspettami, eh... ;-)

Anonimo ha detto...

Ciao Master, sono contentissima che tu sia tornato prestissimo..:-)

MasterMax ha detto...

@Ross: ok! Intesi eh? Ci conto, lo sai ;)!!

@Paola: in qualche modo dovevo sbloccare la spirale di mutismo nella quale ero caduto... ho pensato che il miglior modo era con un racconto :D
Un abbraccio bellissima!

Nadia ha detto...

Hai introdotto un argomento molto complesso. Credo che accettarsi per quello che si è sia la cosa più giusta.
Io sono contraria a questi interventi a meno che non siano eseguiti per motivi di salute.
Credo anche che,per la persona che ti ama, l'aspetto fisico non sia determinante...
Ce ne sarebbero cose da dire a tal proposito... :-)

JANAS ha detto...

ehi complimenti per la fanta_fantasia!!
un racconto che scorre piacevolmente...certo io alla fine avrei fatto come ha fatto Marina, finchè si tratta di ritoccare qualche rottolo di ciccia ok, ma entrare nei ricordi...giù le mani!! trasformarmi in un assemblaggio che non mi appartiene, non essere più io ..no! no! preferisco essere una mela deteriorabile e bacata, che una mela finta dentro un cestino da composizione!

MasterMax ha detto...

@Orchy: ormai la gente deturpa per vanità corpi bellissimi già di per se, ma evidentemente cercano solo di adattare l'esterno all'interno. Un abbraccio...

@Janas: la similitudine della mela è bellissima ma credimi, di bacato non hai proprio niente!!

Renata ha detto...

MASTERMAX ! Che bel racconto. Sai, mi sono sempre piaciute "da matto" le vecchie parabole con la loro belle morale che il lettore doveva ricavare dalla lettura. Sei un tesoro. La dolce, consapevole "ultima"decisione ispirata dal buon senso e dai valori più alti di quelli estetici E' SPLENDIDA ! Ti abbraccio convinta che invecchierai dolcemente accanto alla tua donna e l'amore, struggente e forte sarà sempre li, dentro di voi. Scusa, mi sono dilungata.

sirena ha detto...

Bellissimo racconto!
E' difficile per tutti accetare di invecchiare e, inevitabilmente, di cambiare..ma in fondo credo che una persona sia tale proprio perchè cambia nel tempo:io alle mie rughe voglio bene, ai miei ricordi voglio bene, a mio marito ,in sovrappeso, voglio bene..quelo che unisce due persone è un progetto di vita.
Ciao
Dori

MasterMax ha detto...

@Renata: Non ti scusare, mi piace tanto quando ti dilunghi :) Scherzi a parte il mio intento è proprio quello: riuscire ad invecchiare serenamente e lentamente accanto alla mia compagna e pero tanto di riuscirci ;)

@Sirena: La Marina del racconto fa un errore imperdonabile quando tralascia se stessa per amore dei figli. Occorre sempre prendersi cura di se stessi, ma l'importante è non travalicare mai quella sottile linea che finisce per snaturare completamente noi stessi trasformandoci solo in bei contenitori vuoti.
Un abbraccio!!

AndreA ha detto...

Io condivido la tesi di Orchideablu!

Un abbraccio, a presto!! :-)

Renata ha detto...

Caro Mastermax. Certamente riuscirai a iscrivere il tuo amore nel magnifico libro dei "per sempre". io incrocio le dita e vi resto accanto. Due baci (uno è per te). muccina

Renata ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Andrea ha detto...

Eh, ho capito sì! Ma cosa hai usato per elaborare la vita?
Battute a parte, condivido la scelta finale della protagonista.
Ma spiegami una cosa: sui topi coltivano anche i particolari più intimi.... ma te lo sei immaginato un topino con un pisellone umano sulla groppa? E come la mettiamo con l'equivalente femminile? Che, gli fa da cappotto con tanto di collo di pelo?

Scusami Max, continuo con le battute..... ma non riesco a non immaginarmi 'ste povere bestiole...ahahaha.

Lato serio: sicuramente non è facile accettare sè stessi; ma ancora più difficile accettare la persona con cui si è scelto di vivere la propria vita assieme. Il voler cambiare sè stessi e gli altri è tipico degli umani, e tutto ciò comporta dolori, frustrazioni, depressioni e quant'altro possa scaturire psicologicamente da una situazione di insofferenza e insoddisfazione.
Ma il punto che trovo fondamentale in tutta questa faccenda è la superficialità che pervade la mente umana.

Comunque, ti prego Max di pensare bene la prossima volta che decidi di scrivere cose del genere; non vorrei mai che a Berlusca venisse in mente di cercare 'sta clinica qui!

MasterMax ha detto...

@Renata: Preo! Grazie mia cara!

@Andrea: Nel senso cosa mi sono fumato? Purtroppo solo tabacco anche se avrei preferito... altro! Eccerto che me le sono immaginate le bestiole, una volta ne avevo visto uno al quale avevano fatto crescere (davvero) un orecchio sulla groppa e allora mi sono detto... se ci riescono con un orecchio, perché non con il resto? Scherzi a aprte l'unica cosa che non cerchiamo mai di fare è proprio quella di cambiare noi stessi perché (te lo assicuro per esperienza personale) è molto più difficile che cambiare gli altri i quali, magari per amore, finiscono per accettare e a quel punto spesso l'amore finisce con la frase "... sei cambiato... non sei più quello di una volta", come per dire cornuto e mazziato! Per il diversamente alto, probabilmente quella clinica ce l'ha già: è l'unico motivo che spiegherebbe il perché andare in giro con un castoro sulla testa!! Salut!!

Anonimo ha detto...

Max,
mi fa sempre piacere leggere le storie che il tuo spirito ordisce.
Mi piacciono e perché intrisi di un senso profondo e perché trasportati da un uso della lingua meraviglioso.
Hai un bellissimo dono, molto curato e arricchito dalle tue instancabili letture. Leggerti è balsamico. Hai una fonte inesauribile di storie interessanti dentro di te e, come in questo caso, anche se in un involucro fantascientifico, cariche e profonde, con un messaggio importante.
Scusami se mi sono soffermata a fare elogi e ad ammirare la forma, ma non è solo la forma che ho ammirato ma il contenuto.
Grazie!
Flà

marge ha detto...

Complimenti Mastermax ottimo racconto...io ho appena festeggiato i 27 anni di matrimonio e nè io nè mio marito siamo come eravamo trent'anni fa, siamo cambiati ma lo abbiamo fatto insieme e non saranno qualche ruga e un pò di pancetta a farci cambiare il nostro modo di vivere insieme
nonn so se sono riuscita a farmi capire ma condivido quello che ha fatto la Marina del tuo racconto!!!!

MasterMax ha detto...

@Falvia: Mia cara, ti ringrazio come sempre per le tue dolci parole. Scrivere è per me balsamico, nel senso che mi consente di evadere per qualche ora dalla realtà e far rigenerare il cervello per affrontare una nuova giornata o un nuovo periodo e se tu sei riuscita a cogliere questo, l'abilità è più nel lettore che nello scrivano. Un abrazo!

@Suysan: Non avevo dubbi mia cara che anche tu, da buona mamma, condividessi la sua scelta. Siamo quello che siamo per quello che abbiamo vissuto e forse sbagliando, non lo cambierei mai per nulla al mondo!! Un bacio!

Ross ha detto...

E' almeno la quarta volta che rileggo il tuo racconto, e ancora non riesco a trovare parole adatte a commentarlo.
Non vorrei sembrare esagerata, ma mi ha lasciata abbastanza sconvolta.

Il rapporto con il nostro corpo e con gli altri e il mondo attraverso di esso. Il delicato e spesso doloroso percorso verso una serena accettazione di sè. Le difficoltà del volersi bene nonostante i difetti e i limiti, o dell'amarsi proprio per quei difetti e quei limiti che ci rendono unici e speciali. La silenziosa violenza operata dal condizionamento e la devastazione che porta sul corpo, sulla mente e sullo spirito, persino dei più forti. La subdola imposizione di modelli che, pur sembrandoci dapprima estranei, impossibili e cattivi, per qualche perverso meccanismo alla fine ci convinciamo siano indispensabili e giusti.
Sono tutti temi che vanno a scavare nel profondo e ci rendono trasparenti a noi stessi, mettendoci a nudo proprio come accade a Marina davanti allo specchio.
Sai come fare a pezzettini i tuoi lettori, Max. Ed è anche per questo che apprezzo così tanto il tuo stile.

Comunque, per alleggerire un po' queste mie elucubrazioni, ti segnalo una curiosa coincidenza: poco fa guardavo il book trailer di Miss Galassia, il primo libro per bambini scritto da Stefano Benni (in libreria dal prossimo 4 novembre, edito da Orecchio Acerbo).
Racconta di un mondo in cui invecchiare è un delitto, in cui solo chi è bello conta e solo chi è perfetto vince. Un mondo che, benchè in toni meno angosciosi, richiama bene quello che hai descritto tu. Un mondo che alla fine, quando al più importante concorso intergalattico di bellezza viene proclamata vincitrice Imagia (una misteriosa miss che nessuno ha mai visto), si riscatta grazie al potere fantasia, al divertimento di giocare con l'immaginazione e alla capacità di andare oltre l'apparenza, dritti al cuore delle persone.

Magari potresti leggerlo a tuo figlio. Non so di preciso quale sia il timbro della narrazione nè se riesca bene a rendere accessibile ai piccoli un tema così complesso, ma mi sento di consigliartelo lo stesso. Il solo nome di Benni dovrebbe essere una garanzia.

Un caro saluto, e perdona la lunghezza. :-)

MasterMax ha detto...

@Ross: wow... non pensavo di riuscire a far tanto, come non pensavo di aver una recensione così bella. Mi hai davvero spiazzato, riuscendo come sempre a leggere nelle pieghe più nascoste, riuscendo a far cogliere anche a me delle sfumature delle quali non mi ero mai accorto. E' questa, come ho avuto modo di dire altre volte, è la tua splendida qualità, che io ammiro e quindi sono io a dover ringraziare te per le mai prolisse parole che mi regali.

Per quanto riguarda Benni, ti sembrerà strano ma non ho mai letto nulla di suo, anche se in molti me lo hanno consigliato. Lo segnerò sull'agendina rossa per dare un'occhiata alla prossima incursione in libreria, ma al momento alla mia piccola peste preferisco leggere la Pimpa... per crescere c'è sempre tempo ;)
Un abbraccio di cuore,
Max

Andrea ha detto...

credo che non sia giusto voler cambiare gli altri per farli assomigliare a qualcosa che ci piacerebbe. in fondo gli Ideali devono restare tali. E anche trovare quello che potrebbe essere chi rispecchia appieno il proprio ideale poi risulta una delusione. Meglio che gli ideali rimangano ideali. La realtà è ben diversa e sicuramente più interessante e vivace. Un po' come la diversità biologica: non bisogna averne paura perchè ci insegna un sacco di cose e rende tutto meno noioso.
Ma la pigrizia mentale della maggior parte delle persone e la immensa superficialità umana portano la maggior parte di noi a non piacersi e a voler cambiare gli altri per avvicinarli al nostro ideale.

desaparecida ha detto...

Lo sai che mi sento turbata per il tuo racconto?
A parte lo stile che immediatamente mi ha catapultato in una dimensioen...altra da qua,anche,e soprattutto ,x tutto il calderone di cui parli.

Il corpo visto quasi sempre come un mezzo anzichè come noi....
Il corpo è la nostra arena dove i fantasmi e i sogni si scontrano devastandoci.
Il corpo è una forma dell'anima che è informe e costringerlo in un copione è come chiudere l'aria in un cubo...nn la respiri +....

E vorrei dirti altro....ma sinceramente sono turbata,è che mi hai toccata lì dove vado meno spesso ultimamente....davanti lo specchio che mi fissa.




Ma felice felice di leggerti!
Ti abbraccio forte...lo sai! :)

MasterMax ha detto...

@Andrea: lo spirito di fondo che ha ispirato il racconto era proprio la capacità di portare avanti la propria diversità, sia essa fisica, morale o biologica. Un mondo in cui tutti hanno lo stesso volto, le stesse idee e forse anche gli stessi ricordi che progresso apporterebbe? Ma anche per accettare le diversità negli altri occorre guardarsi allo specchio ed accettare questo è forse anche più difficile che accettare se stessi. Un saluto!

@Desa: Il corpo è solo un mezzo che consente all'anima di esprimersi, ma spesso sono proprio le scatole più semplici a nascondere il contenuto più prezioso. Mi spiace averti turbata ma se questo ti spingerà ad una riflessione, qualsiasi essa sia, sarò contento :)
Dimenticavo... Auguri!!

Jane (Pancrazia) Cole ha detto...

Ho letto il tuo racconto qualche giorno fa ed ora, finalmente, trovo il tempo per commentarlo.

Che dire? Davvero bello!
Ben scritto e toccante.
Marina, con la sua fisicità, esprime calore e vita. Gli altri, con i loro involucri perfetti, sembrano solo dei gusci vuoti, privi di vita e passione.

Sei mancato all'appello per un po', ma sei tornato alla grande :)

MasterMax ha detto...

@Jane: scusa, ma il mio neurone aveva bisogno di riposarsi, sai come tutti gli uomini non riesco a fare contemporaneamente due cose, tipo masticare un chewing gum e camminare ;)

*Giulia* ha detto...

Bellissimo racconto,complimenti!
Ho sempre sostenuto che un bel quadro non dipende dalla cornice!
io ho appena compiuto 39 anni e non ne sono entusiasta,anche se la mia vita è felice se rinasco mi piacerebbe nascere alta,mora e magra..
ma se sono nel tunnel lo arredo, non mi dispero per cercare di uscirne e se non mi piaccio allo specchio..bè..cambio specchio!
Giulia