martedì 29 gennaio 2008

Dodici giorni



Il testo che vi apprestate a leggere è stato interamente scritto tra le 5,50 e le 8,30 di martedì 8 gennaio, in macchina. Gli errori, gli strani costrutti verbali che troverete, fanno parte del modo di colloquiare tipico del palermitano. Avevo bisogno di capire, di analizzare. Dovevo eliminare tutti i fronzoli per arrivare al cuore del problema. Il passato e il presente si erano fusi a tal punto da non riuscire più comprenderne la forma. Dovevo riportare tutto alla condizione iniziale: due coordinate per un punto. La mia lingua natia sulle ascisse, i miei ricordi sulle ordinate.

Dodici giorni. sei più sei. Due settimane orfane di due giorni. Un periodo imperfetto composto da una coppia di giorni uguali: due giovedì, due venerdì e via andare. Una dozzina di punti croce ricamati tra la trama e l'ordito del tempo. Dodici giorni tutti diversi che non torneranno mai più, manco se uno ce li volesse pagare a peso d'oro. La doppia sestina inizia il 27 dicembre. La piccola peste è stata parcheggiata dalla nonna perché io e la mia compagna dobbiamo andare al Mediaworld e va a finire come l'altra volta per l'asciugatrice, che il negozio restò in piedi per miracolo. Imbocchiamo la Milano Meda, per spuntare a piazzale Maciachini e da lì imboccare il Viale Jenner per arrivare a Piazza Napoli, nostra meta finale. La lista degli acquisti comprende un nuovo portatile, un iPod, un aspirapolvere e un navigatore Tom Tom, che non ne posso più di starci un'ora a trovare una strada che è dietro l'angolo. E visto che ci siamo, visto che ogni volta che uno deve stampare una fissarìa deve sempre fare il vero abbile, il sangue marcio, ci accattiamo pure la stampante. Abbiamo deciso di renderci la vita più facile. Ce lo meritiamo.
Il primo giovedì della dozzina, il 27 dicembre, avevamo appena imboccato la Milano Meda e il mio cellulare emette quel fastidioso suono che vuol dire che ci arrivò un messaggio.
"Ma chi minchia è?" esordisco.
Mentre guido, prendo il telefonino e in rapida sequenza, schiaccio il bottone centrale per leggere chi si è permesso farlo squillare, e mentre sono in ferie per giunta!
1 messaggio in arrivo.
E' mio fratello. Leggo il messaggio.
"Max, è appena morto lo zio L" L. è il fratello di mia madre. L. è mio zio. O almeno lo era fino a ieri.
"Oh, cazzo!" sono le uniche parole che la mia bocca riesce a pronunciare.
"Ma che è successo?" Chiede la mia compagna seduta sul sedile accanto al mio.
Manco faccio in tempo a dircelo, che squilla il suo cellulare con la suoneria di pollon. E' A. mia cognata, la moglie di mio fratello.
"Patry? E' morto lo zio L." ci fa mia cognata al telefono, le dice mia cognata al telefono.
"Si, me lo stava dicendo Massi..." ci fa mia moglie a mia cognata al telefono.
"Mi chi ci vinni?" Che cosa gli è successo? Faccio io mentre guido. D'altronde non era neanche tanto vecchio.
"Infarto, nella notte." Sentenzia mia moglie dopo che mia cognata aveva riferito la causa.
"Fino a ieri che era Santo Stefano, era in giro in bicicletta" aggiunge.
"Minchia!" esclamo.
Con mio zio non ci vedevamo da 7 anni. Dall'ultima volta che lui era salito a Milano e ci era venuto a trovare. Noi abitavamo ancora a corso Lodi, nel monolocale di 40 metri quadri comprensivi di bagno, cucina, ingresso, camera da letto, camera hobby, studio e tutto quello che ci facevamo. Tre anni ci abbiamo campato. Dormendo sul divano che la notte diventava letto e con la cucina che era più piccola del mio bagno attuale. Tre anni ci abbiamo campato. Tre meravigliosi anni. I primi. "La casa capa quanto vuole il padrone" si dice a Palermo. Picciotti, vero è!
Per lo zio avevo preparato la polenta con il sugo che io sapevo che a lui ci piaceva, perché lui è cresciuto con mia mamma a Pavia che mio nonno e mia nonna, qui in continente, ci passarono 10 anni. Quella fu l'ultima volta che lo vidi. Poi iddu, lui, si sciarriò con mia madre. Hanno litigato per via di mia nonna, che pure lei non era una santa, e allora non ci siamo visti più. Perché io sto lontano e quando scendo non ci penso mai ad andare a trovare i parenti, perché mi siddia, mi secca. E poi mia madre era sciarriata con lui e aveva pure ragione di esserlo, quindi perché andarlo a trovare?
Lo zio L. aveva un carattere burbero anzi veramente, per essere onesto, c'aveva proprio un carattere di merda. "Non è che perché uno è morto lo fanno santo" è stata la frase più ricorrente in questi giorni. Lo zio era ingegnere ed era sempre stato per me lo zio ricco perché lui aveva la casa di proprietà e il box e le mie cugine c'avevano sempre i vestiti belli e invece noi eravamo in affitto e a casa mia le scarpe si dovevano prenotare con due mesi di anticipo. Però almeno, in casa mia i libri non sono mai mancati. Ce ne avevamo così tanti che per passare nel corridoio dovevi metterti di sbieco. Pure nel cesso li avevamo messi. Ma a me non me ne fotteva nulla delle scarpe, neanche allora. Neanche oggi. Era lo zio taccagno, perché tutti lo sapevano che c'aveva lu immu, la gobba, il braccino corto come dicono qui a Milano. Era tirato insomma. "E' ricco, ma è taccagno" dicevano in giro. "Sono ricco perché sono taccagno" rispondeva lui. E' in quel box che ho imparato a stullichiare, ad aggiustare le cose. A capire come funzionano i meccanismi e ad imparare a sistemare le cose. Quando ero picciriddo lo zio L. mi passava a prendere tutti i sabati pomeriggio con il vespone e a me piaceva andare sul vespone, senza casco, che anche se casa mia dalla sua distava due strade, a me quel tragitto mi sembrava lunghissimo e speravo che non finisse mai. E qualche volta, che lui lo sapeva che a me mi piaceva, faceva il giro lungo, con la scusa che doveva andare a comprare qualche fissarìa da Migliore in via Notarbartolo, la ferramenta.
Ogni sabato pomeriggio, verso le tre, passava sotto casa con il vespone e senza manco scendere dal cavalletto, fischiava forte con le dita da sotto il balcone e io che lo sentivo, ci urlavo forte a mamma "Maaaa, c'è lo ziooo!".
Mia mamma si affacciava al balcone e lui sempre, tutte le volte, con tono quasi infastidito abbanniava, gridava "Ciao Lidù, fammi scendere il picciotto". Il picciotto ero io. E ogni volta sembrava quasi che mi facesse un favore a venirmi a prendere, ma visto che nessuno ce lo chiedeva mai di venirmi a prendere, io lo sapevo che allora voleva dire che a lui piaceva stare insieme a me al box a stullichiare, perché lui ci aveva due figlie femmine e a loro, alle mie cugine, non ci piaceva stullichiare al box. La matematica fu lui ad insegnarmela davvero. La fisica pure. La chimica anche. Lo zio c'aveva un carattere burbero anzi proprio di merda, ma sapeva spiegare bene. Mi voleva bene, anche se non me lo ha mai detto. Neanche io gliel'ho mai detto. "La megghiu parola è chidda chi un si dici." La parola migliore è quella non detta. A volte. Non sempre.
"Respira con il naso!" Mi diceva, mentre mi insegnava a nuotare a Mondello.
"Trattieni l'aria nei polmoni, che vedi che non affoghi!" Mi diceva mentre mi insegnava a galleggiare dove non toccavo, che a quel tempo era praticamente subito a pochi metri dalla riva, dove a lui l'acqua ci arrivava manco sopra il costume. Era alto lo zio L.
Dodici giorni fa è morto e io non ho pianto. Perché lo zio diceva sempre che piangere è da fimminedde, da femminucce e lui ci aveva due figlie femmine.
Quel giorno, siamo andati a comprare l'aspirapolvere che appena lo accendi si suca pure a mìa, il portatile nuovo che pare una televisione e la stampante. L'iPod e il navigatore non li abbiamo trovati che, vuol dire, tutti se li erano accattati? Tutti li avevano comprati? Manco se li regalavano a due a due finquando non diventavano dispari.
L'iPod lo abbiamo trovato il sabato prima di capodanno. Nella vetrina accanto c'era pure il Tom Tom del modello che volevo. Ma che fa, aspettavano a mìa? Aspettavano me?
Di lì a poco li avevo entrambi nelle mie mani.
Per me, le cose, gli oggetti, servono solo per essere usate e non è che muori se non ce l'hai. No, non muori, ma quando li tasti, quando li provi, allora inizi a chiederti come hai fatto a fare senza fino allora. Che', fa prima non si telefonava senza cellulare? Si telefonava lo stesso. Si usciva con il gettone e se c'avevi problemi, telefonavi a mamma e ci dicevi che tardavi. Ma quei due piccoli e insignificanti trabiccoli cinesi, per noi, rappresentano la fine di un capitolo. Rappresentano molto più dell'uso per il quale sono preposti. Arrivo a casa: accumincio a strumintiàre. Inizio a configurarli. Accendo per primo Mimì, il navigatore. Scarica, calcola, in un'orgia di preferenze, menù e sotto menù cerco di configurarlo al meglio. Al posto della frecciona blu ci metto pure l'icona della mercedes, che visto che ho una clio scassata mi sembra l'ideale. E alla fine, minchia, Mimì il navigatore le strade le trova davvero. Sono sempre stato bravo a strumintiàre. E quando sbaglio a girare, non mi cazzìa nemmeno, non mi sgrida nemmeno. Si limita mestamente a ricalcolare il percorso. E a me questa cosa mi piace davvero, abituato com'ero a ricevere le cazzìate dalla mia compagna. Forse sarà per quello che ci ho impostato una voce femminile, perché se devo mandarlo a fare in culo quando mi fa fare il giro del paese per girare l'angolo,
con rispetto parlando perché sempre di fìmmina si tratta, ci provo più gusto. Una sorta di rivincita silenziosa.
Per l'iPod invece la cosa è differente, a lui per rispetto non ci ho dato nemmeno un nome e invece lui, a me, mi ha aperto un mondo: il Podcast. Che praticamente vuol dire: "ascoltare tutto quello che ti pare quando vuoi". Il mio iPod, l'ho riempito di musica, delle foto di Lorenzo e Patry, dei filmati delle sigle dei cartoni alla televisione e di libri. Audio libri, come quelli che si leggono ai ciechi, che anche se ci vedi, ascoltarli è troppo bello. Bulgakov, Verga, Proust, Buzzati, Mann hanno trovato il loro posto tra i Queen e Pupo. Tra i Kiss e il video della sigla iniziale di Capitan Harlock. Quella con la ragazzina che corre lungo l'Arcadia. E poi gli sceneggiati radio della rai, quelli belli che ascoltavo da piccolo con mamma e che non sono più riuscito a sentire perché li fanno la mattina. Tutte le puntate insieme che così, non devo manco aspettare l'indomani. La notte mi addormento con le cuffie nelle orecchie; la mattina, mentre vado in ufficio, una delle due cuffie è cacciata dentro il mio orecchio. In ufficio idem. La tecnologia ho capito, è bella ma è un'escalation. Perché una volta che ci hai l'iPod, lo vuoi ascoltare sempre, e allora, l'autoradio, quella che c'hai da sempre e che ti ha fatto sempre ascoltare onestamente la radio e i cd adesso non ti basta più. Adesso ci voglio ascoltare l'iPod. Ci voglio ascoltare la mia musica. Ci voglio ascoltare i racconti di mezzanotte del terzo radiofonico, alle sette del mattino. Insomma, ci voglio ascoltare quello che mi pare. In una parola: Podcast.
Sono sempre stato bravo a stullichiare, anche senza il box.
Dodici giorni. Dal 27 dicembre al 7 gennaio. Ieri, sabato 5, altra tappa. Abbiamo comprato la macchina nuova. Ma no una macchinicchia nica nica, piccola piccola, la macchinona. La station wagon, che nel bagagliaio mi ci posso stinnicchiare per lungo. Dopo una vita di macchine piccole, che quando devi trasportare una sedia al ritorno dall'Ikea ti ritrovi la gamba puntata dietro la nuca tipo pistola e devi guidare tutto a sgimbescio, tutto storto, io nella macchina nuova, di sedie ce ne voglio mettere quattro senza neanche abbassare i sedili posteriori. Poi, con rispetto parlando, che minchia devo farci con quattro sedie nel bagagliaio non lo so, ma intanto ce le metto solo per il prio di vedercele dentro, per il piacere di vederle tutte dentro il bagagliaio. Quando ero piccolo, la mamma aveva una 126. Il bagagliaio praticamente era grande quanto il mio zaino. Però quando andavamo a mare, mia madre ci faceva stare pure l'ombrellone. Ma come faceva mamma, non l'ho mai capito. Adesso abbiamo 2 macchine. Indipendenza. Perché onestamente non ne possiamo più di fare tutti gli incastri che manco a tetris. "Allora io domani vado con il treno, così tu puoi andare dal dottore, mentre dopodomani devo prenderla perché devo andare dal cliente e con la moto aggigghio di freddo, muoio dal freddo". Manco Scipione e Giulio Cesare facevano tanta strategia. Un'altra tappa. Un altro punto per alleviare la vita. Non è stato facile ottenere quello che ci spettava, ma ce l'abbiamo fatta e questa è un'altra di quelle piccole (piccole per modo di dire) cose che sanciscono, nel bene o nel male, la fine del capitolo abbile e mala vita. La radio della macchina nuova ci ha pure l'ingresso per l'iPod. Ce la consegnano sabato prossimo.
Domenica sera Lorenzo fa finta di avere una piccola stella tra le mani. Viene da me: voleva che appendessi la sua stella immaginaria nel cielo.
"Io sono picco (piccolo) papà, appendi tu" mi fa.
"Ma neanche io arrivo al cielo, amore" rispondo distrattamente.
"E allora tu prendi scala papà e appendi la mia stella"
"Va bene. Allora tu mettila nel vaso e stanotte, mentre dormi, papà prende la scala e l'appende per te, va bene?"
"Siiiiii" dice, e va via contento dopo aver messo la stella nel vaso.
Quella notte qualcuno per me ha appeso la sua stella nel celo, senza la scala.
Lunedì mattina mia moglie mi chiama in lacrime e io capisco subito.
"E' morto il nonno, vero?" chiedo
"Si" mi dice, tra un singhiozzo e un altro.
"Piangi e sfogati. E' l'unico modo" tanto Lorenzo è all'asilo, che per fortuna ha riaperto i battenti dopo la pausa festiva. Il nonno era il suo, ma lo sentivo anche un po il mio.
Ieri sera ho prenotato i biglietti per lei, i suoi genitori e sua cugina. Ho incastrato tutti i voli affinché possano volare sempre assieme, tra andate e ritorni. Lunghi o in giornata per il funerale. Ho prenotato le auto. Ma io ai funerali non ci vado mai. Se uno è morto, basta saperlo. Non è che devo vederlo stinnicchiato per capirlo. E a sentire il parrino che predica, io non ci ho voglia. Io i cristiani, gli uomini, me li voglio ricordare tutti all'aggritta, in piedi.
Lorenzo è andato a dormire a casa del suo cuginetto Salvatore, Sasà, che noi dovevamo alzarci prima dell'alba del Signore.

"Ciao casa, io vado dormire a casa di Sasà"
Lui saluta sempre i luoghi: il carrefour, le giostre, il lago, la casa. Come se avessero anche loro un'anima. Ma forse ce l'hanno per davvero. Ha ragione lui. Penso. I bambini hanno sempre ragione. Quasi.
Stamattina mi sono alzato alle 3,30 per accompagnare mia moglie e mia suocera a Linate. Alle 5,30 ero già in ufficio. Parcheggio, spengo la macchina. Infilo l'iPod nelle orecchie. Mi guardo intorno. La barbona di via Monte Bianco sta dormendo dentro la sua tenda. Apro il portatile e inizio a scrivere. Di getto. Mi accorgo che è già mattino quando la luce dell'alba illumina finalmente la tastiera del portatile. La barbona accanto a me, che nel frattempo è uscita allo scoperto dalla sua tana cittadina, sta comodamente defecando sul marciapiede, di fronte la vetrina di una Banca. Sulla vetrina della banca. Bhè, mi dico, non poteva trovare luogo migliore per farlo. Lo scrivere si è fatto più tenue. L'ordine è stato ristabilito. Ascisse e ordinate. Trama e ordito. Posso riporre gli attrezzi nella cassetta e guardare scorrere nuovamente il mio presente.

[Foto: Trey Ratcliff - "The Open Road" - www.stuckincustoms.com. Released on Creative Commons License.]

20 commenti:

JANAS ha detto...

ho letto tutto di filato il tuo BELLISSIMO racconto, in alcuni passi ho sorriso, come quando esponi in modo semplice e divertente la varietà dei punti di vista dell'umano pensare:"E' ricco, ma è taccagno" dicevano in giro. "Sono ricco perché sono taccagno" rispondeva lui.
La tenerezza, quando parli del fatto che in fondo tu e tuo zio vi volevate bene.. il giro lungo con la moto...la stella di tuo figlio... i bambini che pensano che le cose hanno un anima, sono tutti pensieri a me molto familiari!
Bellissimo anche il racconto degli acquisti tecnologici, la frenesia di metterli in funzione, la coscienza che non muori se non li hai...insomma hai scritto un racconto che mi è piaciuto veramente tanto!
Bravo e complimenti... poi lo farò leggere anche a mio marito..che come te ... non va mai ai funerali per le tue stesse motivazioni!!!

Ross ha detto...

Ascisse e ordinate... mentre leggevo questo testo non riuscivo a togliermi dalla mente l'immagine di una funzione periodica, come il coseno o il seno di un angolo. Su e giù, su e giù, sempre. In perenne oscillazione fra due estremi, fra due valori fissi, due punti di riferimento, ma anche due limiti.
Fermi allo zero, poi una lenta salita, fino al culmine, poi uno scivolare dolce, o una caduta rovinosa, fino al fondo. E poi di nuovo su, verso l'alto, verso i bei ricordi, verso la stella che un bambino vuole appendere nel cielo.
Ma forse a questo punto non è più una funzione, non sono più le emozioni della lettura, non sono più parole scritte in macchina fra le 5.50 e le 8.30 di un martedì mattina. E', "solo", la vita.

Un grosso abbraccio.

marge ha detto...

Bello questo racconto,mi sono accorta solo dopo averlo letto quanto era lungo...bello come hai descritto una giornata banale di acquisti interrotta da una cattiva notizia...passano i ricordi,lo zio che anche essendo burbero ti avrebbe voluto come figlio, la vita che va avanti, si continua a comprare ciò che si desidera e si torna a casa, la stellina che tuo figlio vorrebbe in cielo......... veramente bello...complimenti

lei ha detto...

Hai reso l'idea. Perdere un familiare e acquistare un iPod, perderne un altro e acquistare l'auto nuova. Perdere e prendere. Alla fine della fiera... la vita è proprio così che va. Minchia.

MasterMax ha detto...

@Janas: grazie a te per averlo letto mia cara, grazie davvero.

@Ross: non finisci mai di stupirmi. Riesci sempre a leggere le sfumature più nascoste.

@Suysan: the show must go on, comunque vada...

@lei: diciamo che le due cose non sono proprio sequenziali, la morte e gli acquisti intendo. Chi resta continua, comunque vada, la sua vita e il bello forse, sta proprio in questo.

lei ha detto...

Già, ma è pur vero che chi resta poi andrà comunque via, prima o poi. E prima o poi toccherà cambiare anche la macchinetta del caffè...

noname ha detto...

hai descritto benissimo "il cerchio della vita" cucinato dal tuo realismo di sostituire il vecchio con il nuovo,condito con
"frammenti di vita nel sud" bello..........a proposito che auto hai scelto

MasterMax ha detto...

@lei: è un concetto interessante... quasi "proustiano" ;)

@noname: visto che sono un buon cittadino italiano, ligio alle regole di mercato ho preso una bella Ford Focus SW.

Anonimo ha detto...

...prende questo post...è un continuo altalenare tra i ricordi e il presente, tra la visione del mondo diu un bimbo e quella di un adulto...che ha delle certezze e delle consapevolezze, ma che ha l'entusiasmo e l'incredulità di un bimbo...

pOpale ha detto...

bello e commovente :)

Anonimo ha detto...

wow. La lettura più interessante di questo anno.
Mai letto niente così piacevolmente

Morgan ha detto...

fffffffff, non riuscivo a smettere di leggerti, ohhhhhh!
Bello, diretto, semplice e portatore di idee impopolari, ma sensate.

Mimmo ha detto...

wow....che postone! :)

ma torno a leggerlo con calma...

buona serata, intanto! ;)

Capovoltami ha detto...

Spero che ti capiti spesso di svegliarti presto al mattino...xyz.

MasterMax ha detto...

@Paola: non è quello che capita a tutti noi ogni giorno?

@Popale: grazie a te per averlo letto caro Ale...

@gryphius: felice che ti sia piaciuto gryphius!

@morgan: impopolare, un bel termine. Si, hai ragione: impopolare come forse a volte è la vita di molti che preferiscono vivere che lasciarsi vivere ;)
Grazie per essere passato Morgan!

@Mimmo: quando vuoi... io sono qui!

@l&f: ... e che che magari mi capiti di scrivere di cose più piacevoli ;)

Anonimo ha detto...

Caro Max...mi hai emozionata :-)

LuLaMiAo ha detto...

mio caro ho letto d'un fiato tutto e con grande emozione, per tutto, anche per il modo palermitano a me così caro... neanche fossimo parenti... ti sento simile a me, in realtà è proprio vero... la vita è fatta così.
un abbraccio luuuungo

MasterMax ha detto...

@Regina: onorato che le sia piaciuto mia regina ;)

@Lulamiao: un abbraccio lungo a te mia cara e grazie!

Back in the USA ha detto...

Mi e' quasi mancato il respiro per le sensazioni forti che descrivi. Ma la piu' bella e' quella di tuo figlio, cosi' dolce e della sua stellina. Anche i nativi americani credono che ogni cosa abbia un'anima ed e' una credenza bellissima, non pensi?
Bacibaci

Anonimo ha detto...

Racconto che mi ha toccato nel profondo. Giuro.