venerdì 23 aprile 2010

Reincarnazione

Ho letto che secondo gli indù il top di gamma per le reincarnazioni è la mucca, il che potrà andare bene a Bombay, dove piuttosto che mangiare una mucca si mangiano un sorcio, ma se ti va di sfiga e rinasci nel Texas? Il massimo che può capitarti è finire nell’offerta del giorno di Mc Donald’s o sul barbeque di qualche americano grassoccio il 4 luglio e fanculo a tutte le buone azioni fatte.
L’articolo proseguiva dicendo che, secondo la loro religione, ti passi tipo una decina di vite spaziando dal barbone assoluto, al bottegaio facoltoso o al monaco e se ti capitano sfighe indicibili tipo la peste e la lebbra messe assieme è solo perché in una vita precedente hai mandato a quel paese a qualcuno o hai schiacciato uno scarafaggio o, peggio, ti sei fatto un happy meal che in realtà era Madre Teresa di Calcutta e devi espiare.
Poi se dopo una decina di vite passate a chiedere l’elemosina o a perdere brandelli di carne in giro, decidi di fare il buono e inizi a fare tante di quelle buone azioni che al confronto Ghandi era un essere spietato senza cuore e pure un po’ stronzo, gli dei (non ricordo se quello con la testa di elefante o quella gnocca con tante braccia) ti fanno reincarnare in una mucca.
Che culo.
Altrimenti fai di nuovo il pezzente o al massimo il barbiere e altro giro altra ruota.
Così, dopo una vita spesa ad aiutare il prossimo, se ti va di lusso passi la tua bella vita bovina a brucare erba rancida e a digerire con due stomaci con un tipo che ti smanaccia le mammelle tutti i giorni almeno due volte senza invitarti neanche a cena.
A volte mi domando cosa avrò mai fatto di male nella mia vita precedente – che non ho già fatto anche in questa – per essermi reincarnato in un programmatore.
Ad ogni modo, secondo me l’idea è buona solo che hanno sbagliato premio: il top del top per una reincarnazione è la portinaia.
A parte l’essere tarchiata, di mezz’età, con uno spiccato accento terrone e analfabeta o quasi, non è poi così male.
Ti alzi all’alba e vabè, a quello prima o poi ti ci abitui.
Lavi le scale e i pianerottoli, almeno per i primi tempi giusto per fare bella figura, poi basta mettere fuori il secchio con l’acqua sporca e il mocio vileda per far vedere che lo fai.
Una lucidatina di tanto in tanto ai corrimano, il deodorante in ascensore, il vetril sul bancone e per quella giornata il lavoro fisico è finito e può finalmente cominciare il vero lavoro, quello mentale, perché la portinaia ha come compito primario quello di custodire: tutto.
Il palazzo, i suoi abitanti, le piante dell’atrio, i segreti: di tutti.
Come il famoso cinese in riva al fiume, vede le sue vittime passarle davanti tutti i giorni e lei le osserva, in silenzio, sorniona come un gatto, aspettando solo il momento buono per attaccare.
Il ragionier Agosti del secondo piano ad esempio, che non saluta e non incrocia mai il suo sguardo perché non paga il condominio da due mesi e ha paura di essere svergognato pubblicamente.
E poco importa se l’hanno licenziato due mesi fa e ha due figli da mandare a scuola e una moglie da mantenere: la portinaia ha il dovere di controllare, custodire, gestire e far rispettare l’ordine. E’ il suo mandato la cui investitura le fu data nella notte dei tempi dall’altissimo in persona: l’amministratore.
Ha il potere, per diritto sancito e lo esercita, a suo piacimento.
Vogliamo parlare della Signora Merati? Che se la intende con l’ingegner Fava, con rispetto parlando, quando i rispettivi consorti vanno in fabbrica il primo e in ufficio la seconda?
Puntuale come il postino, alle 10 e 30 dopo aver portato i figli a scuola e preso il caffè con le mamme al bar, la Signora Merati prende l’ascensore fermandosi al terzo piano invece che al primo, “a fare due chiacchere con l’ingegnere, che poverino ha la gamba rotta e sta tutto il giorno solo solo” dice lei. E dopo i soliti urli e strepitii, a mezzogiorno si sente riaprire la porta e loro due parlare sottovoce, rinnovandosi zitti zitti l’appuntamento per la mattina successiva, con la paura che qualcuno possa sentirli. Giusto in tempo per farsi una doccia, andare a riprendere i figli da scuola e preparare il pranzo al povero cornuto che tutte le mattine passa con il collo della camicia logoro, mentre lei va in giro con le scarpe di Prada e gli jeans firmati che “trova sempre all’outlet a prezzo di fabbrica…”.
E la signora Agostina del quinto, l’infermiera, che con quei tacchi alti sveglia sempre il signor Mimmo del piano di sotto che fa la guardia giurata e di giorno deve dormire; la signora Sporta, che è impazzita dopo la morte di suo marito e di notte si ubriaca e mette la radio a tutto volume svegliando i figli della signora Pinna del terzo piano. E gli immigrati del secondo e del sesto, che non danno fastidio a nessuno, ma con gli odori della loro cucina inondano alle sette del mattino la scala che per respirare ci vorrebbero le maschere a gas.
Tutto passa da quel bancone silente, come l’acqua.
E quello che non passa, viene riportato dallo stuolo di mogli, comari e affini che si lamentano della studentessa del settimo che esce con la minigonna più corta della cintura e dei mariti che quando la vedono passare le lasciano in dono gli occhi, sul culo.
Colonnelli fedeli che riportano puntualmente tutto quello che, per un fortuito caso, dovesse essere sfuggito al reportage quotidiano.
E poi la posta ovviamente: la quantità di informazioni che si può trarre dalla posta è incalcolabile.
Il figlio degli Sberna che si fa arrivare le riviste zozze a casa; l’architetto Sasso che non paga le bollette e gli staccano la luce un mese si e un mese no.
La signora Marisa, che invece non ne riceve mai e accusa ogni due giorni la custode, il deus ex machina del palazzo, di nascondergliela gridando e sbattendo le mani sul lindo bancone con il piano in vetro che poi tocca lucidare di nuovo con il vetril.
Chiudi a mezzo giorno, mangi il tuo piatto di pasta. Riposino dall’una alle tre meno un quarto e riapri il portone dalle 15 alle 19, passando il tuo tempo tra Oggi, Gente, Novella 2000 e altre interessanti letture, perché in fondo quel risicato pezzo di mondo all’angolo tra via Maria Maddalena e piazza Indipendenza è troppo piccolo per quel potere che una mucca non avrà mai.
Gli indù non hanno capito niente e io, se rinasco, voglio reincarnarmi in una portinaia.

9 commenti:

Baol ha detto...

Beh...quanto a conoscenza dei vicini ti stai già portando avanti col lavoro eh?

:D


(sempre post meravigliosi) ;)

Flavia ha detto...

Carissimo Max,

sempre caro m'è il tuo narrar.
Invidia sveglian in me le tue parole,
ché d'incanto singolar
danno vita ad un bel far.
Più che in un programmatore
rincarnato sei in scrittore
e passi dai sentieri
creando un mirabil mondo di piaceri.

Bravo, flaco!

Flà

Flavia ha detto...

Carissimo Max,

sempre caro m'è il tuo narrar.
Invidia sveglian in me le tue parole,
ché d'incanto singolar
danno vita ad un bel far.
Più che in un programmatore
rincarnato sei in scrittore
e passi dai sentieri
creando un mirabil mondo di piaceri.

Bravo, flaco!

Flà

Flavia ha detto...

scusa, Max, non so cosa ho fatto...
mi è partito due volte il commento...

MasterMax ha detto...

@Baol: la conoscenza è potere, quindi perché perdere tempo?

@Flavia: Ma che beeeella!! Il mio ego ringrazia sentitamente :D Graçias!! :D

Flavia ha detto...

Grazie anche a te!
Meriti i complimenti.

Flà

principessa ha detto...

MERAVIGLIOSO! ;-)

Federica ha detto...

Ho sempre pensato che i programmatori, con tutto quel loro parlare in numeri, non avessero grande conoscenza delle parole..che enorme errore, gigantesco...

MasterMax ha detto...

@Federica: infatti sono un pessimo programmatore :D
Grazie per le belle parole e benvenuta!