Senza titolo - 4/4
[la prima parte]
[la seconda parte]
[la terza parte]
Stanco e stremato dall’ennesima notte insonne, Andrea spense la sigaretta nel posacenere e si adagiò sul divano, addormentandosi di lì a poco. Sognò di essere nella stessa camera d’albergo nella quale aveva visto tante volte il suo protagonista e di vederlo lì, ancora vivo. Di spalle. Lo osservò posare la sigaretta sul posacenere guardando la scia di fumo grigio che si ergeva verso il tetto. Lo vide inebriarsi della musica che leggera inondava la stanza, sereno. Lo guardò posizionare la pistola sotto il mento. Osservò con cura il suo corpo muoversi sotto l’onda d’urto dello sparo, come un ramo mosso dal vento impetuoso di settembre, andando ad adagiarsi esanime sulla scrivania, con la pistola ancora fumante nella mano sinistra. Vide quella frase lampeggiare allegra sul monitor del portatile. I quadri imbrattati. Il sangue che colava sulla moquette, dopo aver colorato per bene le brochure dell’Hotel. Andrea si svegliò di soprassalto. Non sapeva cosa fare. Come reagire. Solo una cosa gli era certa. Aveva finalmente svelato l’oscuro disegno che la vita aveva dipinto per lui. L’invito era stato consegnato e lui lo aveva accettato oramai da troppo tempo perché potesse sottrarsi.
Cosa fare si domandò. Scappare forse? Chiudere lì la sua carriera di scrittore e tornare al nido chiedendo scusa?
[la seconda parte]
[la terza parte]
Stanco e stremato dall’ennesima notte insonne, Andrea spense la sigaretta nel posacenere e si adagiò sul divano, addormentandosi di lì a poco. Sognò di essere nella stessa camera d’albergo nella quale aveva visto tante volte il suo protagonista e di vederlo lì, ancora vivo. Di spalle. Lo osservò posare la sigaretta sul posacenere guardando la scia di fumo grigio che si ergeva verso il tetto. Lo vide inebriarsi della musica che leggera inondava la stanza, sereno. Lo guardò posizionare la pistola sotto il mento. Osservò con cura il suo corpo muoversi sotto l’onda d’urto dello sparo, come un ramo mosso dal vento impetuoso di settembre, andando ad adagiarsi esanime sulla scrivania, con la pistola ancora fumante nella mano sinistra. Vide quella frase lampeggiare allegra sul monitor del portatile. I quadri imbrattati. Il sangue che colava sulla moquette, dopo aver colorato per bene le brochure dell’Hotel. Andrea si svegliò di soprassalto. Non sapeva cosa fare. Come reagire. Solo una cosa gli era certa. Aveva finalmente svelato l’oscuro disegno che la vita aveva dipinto per lui. L’invito era stato consegnato e lui lo aveva accettato oramai da troppo tempo perché potesse sottrarsi.
Cosa fare si domandò. Scappare forse? Chiudere lì la sua carriera di scrittore e tornare al nido chiedendo scusa?
No. La sua carriera era iniziata con un sogno e doveva finire con un sogno.
No. Non più. Un tempo forse.
No. Non più. Un tempo forse.
Si. Sarebbe scappato.
Avrebbe chiesto aiuto al padre che in tutti quegli anni lo aveva coperto. Si sarebbe addossato anche questa responsabilità. Come le altre che Andrea non si era mai voluto o potuto prendere.
Ma adesso No. Non più. Adesso era vivo.
Si alzò di scatto. Prese tutte le carte che aveva sulla sua scrivania di scrittore e le bruciò nel tinello della cucina, compreso il prezioso modulo bancario. Appena le fiamme ebbero finito di lambire tutte le parole, aprì l’acqua per far scorrere via le ceneri nello scarico del lavandino.
Ricompose la caffettiera. La mise dentro una busta e scrisse sopra il nome e l’indirizzo di sua madre. Al suo interno solo un biglietto a farle compagnia: “Grazie. Mi è stata molto utile”. Quindi la posò con cura sul tavolo della cucina, facendo attenzione che l’indirizzo fosse bene in vista.
Andò nel soggiorno-camera da letto-studio, raccolse il suo computer e tutto il necessario e lo infilò dentro lo zaino. Prima di uscire, ringraziò quelle quattro pareti che lo avevano accolto con tanto amore.
Si alzò di scatto. Prese tutte le carte che aveva sulla sua scrivania di scrittore e le bruciò nel tinello della cucina, compreso il prezioso modulo bancario. Appena le fiamme ebbero finito di lambire tutte le parole, aprì l’acqua per far scorrere via le ceneri nello scarico del lavandino.
Ricompose la caffettiera. La mise dentro una busta e scrisse sopra il nome e l’indirizzo di sua madre. Al suo interno solo un biglietto a farle compagnia: “Grazie. Mi è stata molto utile”. Quindi la posò con cura sul tavolo della cucina, facendo attenzione che l’indirizzo fosse bene in vista.
Andò nel soggiorno-camera da letto-studio, raccolse il suo computer e tutto il necessario e lo infilò dentro lo zaino. Prima di uscire, ringraziò quelle quattro pareti che lo avevano accolto con tanto amore.
“Arrivederci!” disse, ed uscì senza chiudere a chiave.
Corse fuori alla fermata dell’autobus. Attese qualche minuto guardando l’orologio. Come se avesse paura di non farcela. Di arrivare tardi.
Lo vide delinearsi all’orizzonte. Attese che l’autobus si fermasse e salì senza pagare il biglietto, anche perché nelle sue tasche non vi era l’ombra di un centesimo dopo aver acquistato le sigarette. Una volta arrivato alla stazione di Saronno, prese il treno per piazzale Cadorna, pagando il passaggio allo stesso modo del precedente. Arrivato in città, scese in metropolitana e passò dall’ingresso dedicato agli abbonati senza pensarci due volte. Scese ad una delle fermate del centro, come se sapesse già dove andare. Salì le scale, si voltò, e vide un bell’Hotel lussuoso che si stagliava alto e fiero all’uscita della metro.
“Deve essere lì che mi aspettano” Pensò tra se e se.
Entrò.
“Buonasera” esclamò il portiere, nella sua bella divisa scura con i bottoni color oro sulle spalline.
“Buonasera” disse Andrea. “Posso avere una stanza?”
“Mi faccia controllare…” rispose il portiere. “Abbiamo libera la 232. Posso avere un suo documento per favore?”
“Certo” Rispose Andrea. “Eccolo” disse, porgendo la sua carta di identità al concierge “Fumatori, mi raccomando” aggiunse Andrea.
“Come desidera. Si fermerà molto con noi?” domandò il portiere, un po’ insospettito dall’assenza di bagagli fatta eccezione per lo zaino.
“No, penso solo stasera.” Rispose tranquillamente Andrea.
“Ecco qui. 232. Secondo piano” disse affabilmente il portiere consegnando le chiavi della camera al facchino che, prontamente, si era presentato al bancone al richiamo tintinnate del campanello.
Il facchino gli aprì la camera e lo fece entrare. Tese la mano per ricevere la mancia e Andrea gliela strinse calorosamente per ringraziarlo.
Era esattamente la stanza che aveva sempre immaginato. Le stesse tende, lo stesso copriletto, lo stesso posacenere di ceramica bianca con impresso il logo in oro dell’albergo. Si sedette alla scrivania posta ai piedi del letto, tirò fuori dallo zaino il suo portatile e lo accese. Dopo aver aspettato che finisse tutti i processi iniziali, avviò il player mp3 e riprodusse l’incantevole brano di Ennio Morricone, che aveva scaricato qualche tempo prima in un internet point. Si accorse di non avere le sigarette. Le aveva dimenticate sulla sua scrivania di scrittore.
“Porc… No. Non si può fare senza la sigaretta! Scusate. Torno subito” Esclamò Andrea. Fermò l’esecuzione del brano, scese giù nella hall e ne domandò una al portiere che, guardandolo un po’ perplesso, gliela porse senza esitare. Risalì sopra di corsa, sentendo gli sguardi di tutto il personale addosso. Sorrise. La cosa cominciava a farsi divertente.
Strisciò la carta magnetica e aprì la porta della stanza. Si mise la sigaretta in bocca e si frugò in cerca dell’accendino. Ovviamente come sempre accadeva ne era sprovvisto ma per fortuna, l’Hotel aveva preventivato tali casi ed aveva preparato sul posacenere un pacchetto di cerini con impresso il logo in oro. La accese infilandosi in tasca i cerini rimanenti. Ne tirò una lunga boccata e la posò sul posacenere bianco posto nell’angolo destro della scrivania, sopra le brochure con la descrizione dei servizi offerti. Avviò nuovamente la colonna sonora sul player mp3. Mancava solo il messanger attivato, ma a quello rimediò subito usufruendo della connessione ad internet dell’Hotel.
Corse fuori alla fermata dell’autobus. Attese qualche minuto guardando l’orologio. Come se avesse paura di non farcela. Di arrivare tardi.
Lo vide delinearsi all’orizzonte. Attese che l’autobus si fermasse e salì senza pagare il biglietto, anche perché nelle sue tasche non vi era l’ombra di un centesimo dopo aver acquistato le sigarette. Una volta arrivato alla stazione di Saronno, prese il treno per piazzale Cadorna, pagando il passaggio allo stesso modo del precedente. Arrivato in città, scese in metropolitana e passò dall’ingresso dedicato agli abbonati senza pensarci due volte. Scese ad una delle fermate del centro, come se sapesse già dove andare. Salì le scale, si voltò, e vide un bell’Hotel lussuoso che si stagliava alto e fiero all’uscita della metro.
“Deve essere lì che mi aspettano” Pensò tra se e se.
Entrò.
“Buonasera” esclamò il portiere, nella sua bella divisa scura con i bottoni color oro sulle spalline.
“Buonasera” disse Andrea. “Posso avere una stanza?”
“Mi faccia controllare…” rispose il portiere. “Abbiamo libera la 232. Posso avere un suo documento per favore?”
“Certo” Rispose Andrea. “Eccolo” disse, porgendo la sua carta di identità al concierge “Fumatori, mi raccomando” aggiunse Andrea.
“Come desidera. Si fermerà molto con noi?” domandò il portiere, un po’ insospettito dall’assenza di bagagli fatta eccezione per lo zaino.
“No, penso solo stasera.” Rispose tranquillamente Andrea.
“Ecco qui. 232. Secondo piano” disse affabilmente il portiere consegnando le chiavi della camera al facchino che, prontamente, si era presentato al bancone al richiamo tintinnate del campanello.
Il facchino gli aprì la camera e lo fece entrare. Tese la mano per ricevere la mancia e Andrea gliela strinse calorosamente per ringraziarlo.
Era esattamente la stanza che aveva sempre immaginato. Le stesse tende, lo stesso copriletto, lo stesso posacenere di ceramica bianca con impresso il logo in oro dell’albergo. Si sedette alla scrivania posta ai piedi del letto, tirò fuori dallo zaino il suo portatile e lo accese. Dopo aver aspettato che finisse tutti i processi iniziali, avviò il player mp3 e riprodusse l’incantevole brano di Ennio Morricone, che aveva scaricato qualche tempo prima in un internet point. Si accorse di non avere le sigarette. Le aveva dimenticate sulla sua scrivania di scrittore.
“Porc… No. Non si può fare senza la sigaretta! Scusate. Torno subito” Esclamò Andrea. Fermò l’esecuzione del brano, scese giù nella hall e ne domandò una al portiere che, guardandolo un po’ perplesso, gliela porse senza esitare. Risalì sopra di corsa, sentendo gli sguardi di tutto il personale addosso. Sorrise. La cosa cominciava a farsi divertente.
Strisciò la carta magnetica e aprì la porta della stanza. Si mise la sigaretta in bocca e si frugò in cerca dell’accendino. Ovviamente come sempre accadeva ne era sprovvisto ma per fortuna, l’Hotel aveva preventivato tali casi ed aveva preparato sul posacenere un pacchetto di cerini con impresso il logo in oro. La accese infilandosi in tasca i cerini rimanenti. Ne tirò una lunga boccata e la posò sul posacenere bianco posto nell’angolo destro della scrivania, sopra le brochure con la descrizione dei servizi offerti. Avviò nuovamente la colonna sonora sul player mp3. Mancava solo il messanger attivato, ma a quello rimediò subito usufruendo della connessione ad internet dell’Hotel.
Adesso sì che era tutto perfetto.
Era finalmente entrato dentro il suo romanzo. Dentro il suo incipit. Dentro la sua vita.
Aprì un nuovo foglio word, dopo essersi assicurato di aver cancellato l’odiato file senzatitolo.doc e aver svuotato più volte il cestino per essere sicuro di averlo cancellato per sempre.
Le mani gli tremavano un po’ per l’emozione mentre scriveva la frase di ringraziamento. Tirò un’altra boccata dalla sua sigaretta. Estrasse dallo zaino la pistola che si era procurato il mese prima alle colonne di San Lorenzo, perché si era convinto che tenerne una in mano gli avrebbe permesso di capire meglio cosa si provasse e quindi di poter finalmente doppiare l’ostacolo che lo teneva in stallo da quattro mesi. Sorrise mentre infilava le pallottole nel caricatore. Diede un colpo secco alla base della pistola con la parte finale del palmo destro. Clic.
Le mani gli tremavano un po’ per l’emozione mentre scriveva la frase di ringraziamento. Tirò un’altra boccata dalla sua sigaretta. Estrasse dallo zaino la pistola che si era procurato il mese prima alle colonne di San Lorenzo, perché si era convinto che tenerne una in mano gli avrebbe permesso di capire meglio cosa si provasse e quindi di poter finalmente doppiare l’ostacolo che lo teneva in stallo da quattro mesi. Sorrise mentre infilava le pallottole nel caricatore. Diede un colpo secco alla base della pistola con la parte finale del palmo destro. Clic.
Ringraziò la sua musa ispiratrice per la breve ma intensa vita da uomo libero che quel breve incipit gli aveva permesso di vivere e le fece un inchino prima di sedersi sulla comoda poltrona di broccato rosso posta davanti la scrivania. Portò la canna sotto il mento, impugnando saldamente la pistola con la sua mano sinistra. Appoggiò il dito indice sul grilletto. Chiuse gli occhi e andò serenamente incontro al suo destino.
Il giorno dopo un piccolo trafiletto sul Corriere riportava la notizia di un ragazzo che si era inspiegabilmente ucciso in una suite dell’Hotel del Centro, lasciando solo una sintetica frase sul monitor del suo computer. Le indagini erano ancora in corso. Le cause erano sconosciute. Uno studente taciturno dagli spessi occhiali e ancor più spesse occhiaie, lesse quell’articolo con molto interesse mentre stava dirigendosi in metropolitana all’Università di Roma per seguire una lezione di diritto. Lesse e rilesse quell’unica frase lasciata in eredità dal suicida con estrema attenzione. Alzò gli occhi e sorridendo, pensò che quello sarebbe stato un bello spunto per scriverne un romanzo.
Il giorno dopo un piccolo trafiletto sul Corriere riportava la notizia di un ragazzo che si era inspiegabilmente ucciso in una suite dell’Hotel del Centro, lasciando solo una sintetica frase sul monitor del suo computer. Le indagini erano ancora in corso. Le cause erano sconosciute. Uno studente taciturno dagli spessi occhiali e ancor più spesse occhiaie, lesse quell’articolo con molto interesse mentre stava dirigendosi in metropolitana all’Università di Roma per seguire una lezione di diritto. Lesse e rilesse quell’unica frase lasciata in eredità dal suicida con estrema attenzione. Alzò gli occhi e sorridendo, pensò che quello sarebbe stato un bello spunto per scriverne un romanzo.
- fine
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[Immagine] Vincent van Gogh. Camera da letto. Ottobre 1888. Amsterdam, Rijksmuseum
2 commenti:
Terrificante....è questa la vita di un uomo libero, o la libertà è solo ciò che viene inteso soggetivamente? Ciao Max...
Fabry.
Veramente ma veramente inquietante. Molto ben raccontato. Ci hai portati tutti, in quella suite. Complimenti vivissimi
A.
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