martedì 24 aprile 2007

Binario 19

“Dai, prendiamolo.” – disse Sofia.
“Ma che dici?” – rispose Alfredo.
“Massì, dai, che ti frega?”, replicò la donna “per una volta tanto, facciamo una pazzia! Una cosa improvvisa, non studiata a tavolino e non organizzata da nessuno. Solo io e tu.”
“Come che mi frega? E domani a lavorare chi ci mando?” disse l’uomo ”E poi non abbiamo nemmeno la valigia, un cambio, non abbiamo prenotato l’albergo, niente.”

“E’ in partenza dal binario 19 il diretto 22344 delle ore 23 e 30 per Parigi. Ferma nelle stazioni di: Savona, Berghxzkw, wzxkzz, buzzwx … Parigi Bercy.”

“Hai sentito? Dai! Saliamo!” continuò lei, correndo verso il binario 19.
“Fermati!” urlò Alfredo correndole dietro “Amore, lo sai che non ce lo possiamo permettere… e poi c’è la macchina. Il parcheggio scade tra 5 minuti e siamo già in ritardo! Fermati!”
“Ma che se lo prendano pure quel fottuto macinino!” disse la ragazza scoppiando a piangere
“Ci pensi? Domattina potremmo fare colazione sotto la Tour Eiffel!”
“Seeee… Altro che Torre Eiffel! Domattina ci sono le sessioni e se non ci vado nemmeno io, quei poveri ragazzi chi li esamina?“ replicò lui
” Il professore? Figurati! Quello domani è bello spaparanzato a godersi la sua villa in montagna! Te li immagini cento studenti inferociti con il libretto in mano? Come minimo mi scorticano vivo! E comunque non è un macinino. Si lo so, è un po’ vecchiotta, magari non sempre si accende al primo colpo, qualche volta ci ha lasciato a piedi e le luci non funzionano bene, ma può fare ancora tanti chilometri!”
Sofia continuava a piangere sulla camicia azzurra di Alfredo il quale, accarezzandole i lunghi capelli biondi, cercava di farla smettere.
“Dai amore.”disse ”Non fare così. Ma si può sapere che ti prende? Perché vuoi scappare a Parigi?”
“Perché …non l'ho mai vista” bisbigliò lei tra un singhiozzo ed un altro “Perché sì…ecco perché”
“Coraggio, prendi il fazzoletto e asciugati i lacrimoni. Guarda, mi hai sporcato tutta la camicia di rimmel. Speriamo che si tolga… ma secondo te macchia? E poi… sì cosa ? Non sei felice con me? Anch'io non sono mai stato a Parigi, ma mica piango per questo!”
“Non è questo è che… niente! Non fa niente! Andiamo a casa!”
“Dai!” disse lui per tranquillizzarla “Amore, ti prometto che ci andremo a Parigi. La prossima settimana passo in agenzia da Vincenzo e ad agosto ci facciamo uno di quei tour organizzati che ti fanno vedere anche la Gioconda e ti portano a mangiare formaggio nei locali tipici.”
“Un pacchetto vacanze per andare a Parigi? Neanche fosse Islamabad! Ma te non ce la fai proprio a fare qualcosa senza averla studiata e programmata prima vero? Agosto… ” disse lei scoppiando fragorosamente a ridere mentre continuava ad asciugarsi le lacrime “Agosto…” ripetè con un filo di voce.
“Visto che alla fine ci sono riuscito a farti sorridere? Agosto, Si! Agosto, promesso! Lo so che mancano ancora sei mesi, ma a costo di non mettere nulla da parte sul libretto ci andremo! Adesso però ti prego, torniamo a casa. Dopo una settimana di visita dei miei zii ho proprio voglia di stare a casa da solo. Ma perché si ostinano a prendere il treno? Non possono prendere l’aereo come tutti dico io?”, disse lui.
“ E speriamo che non ci abbiano fatto la multa, il bigliettino valeva fino alle 22.45 e sono già le 22.47!.”
Tornarono a casa quella sera e fecero l’amore, come tutti i mercoledì.

Alfredo si era ormai abituato alle stranezze di Sofia, non ci faceva quasi più caso. Lo sapeva fin da quando l’aveva conosciuta, una sera di quattro anni prima. Lui, così preciso e pignolo, incapace di mentire e affrontare il minimo imprevisto senza entrare nel panico, capace di controllare centinaia di volte al giorno con un rapido gesto della mano sinistra se il portafoglio fosse ancora dentro la tasca posteriore sinistra dei pantaloni, chiusa con il bottone.
Lui, dicevamo, era rimasto stupefatto dall'abilità di Sofia nel mettersi sempre nei guai, nel riuscire ad andare da una parte all’altra della città senza un soldo, nel riuscire a mangiare a pranzo intrufolandosi nelle mense aziendali e a cena nei pub, dalla sua assoluta faccia tosta insomma. Sofia fu l’unico imprevisto che Alfredo affrontò, tutto sommato, con piacere.
Accadde quasi per caso, mentre lui e Vincenzo, il suo migliore amico, stavano uscendo dal teatro dopo aver visto la rappresentazione di Filumena Marturano.
Lei era ubriaca fradicia ed era caduta rovinosamente per terra grazie alle amorevoli cure del buttafuori della discoteca di fronte che l’aveva gentilmente accompagnata all’uscita dopo aver capito che aveva bevuto e mangiato di tutto senza essere passata dalla cassa nemmeno una volta.
Alfredo vide la scena e, inspiegabilmente, si lanciò subito in suo soccorso.
“Guarda … poverina” disse Alfredo.
“Lascia perdere!”, disse Vincenzo ”la conosco quella li! Bazzica sempre da queste parti! Dev'essere una barbona.”
“Signorina.” Chiese Alfredo “Si è fatta male? Posso aiutarla?”
“Cosa cazzo vuoi tu? Lasciami in pace, stronzo!” furono le prime parole che Sofia gli rivolse.
“Hai visto? Che ti avevo detto? Lasciala lì e andiamo a casa che poi facciamo tardi e tua madre se la prende con me!” disse Vincenzo.
“Ho trentacinque anni: per una volta posso anche fare tardi!” rispose Alfredo, impettito.
“Signorina, mi permetta di aiutarla.” disse, porgendole il fazzoletto bianco che portava sempre nella tasca interiore sinistra della giacca “Tenga, si asciughi. Si è sbucciata il ginocchio. Forse è meglio che l’accompagni al pronto soccorso per un’antitetanica”
“Ma non rompermi i coglioni!“ disse l’educanda, strappando il fazzoletto dalla mano di Alfredo.
“Ti ho detto di lasciarmi in pace, Stronzo! Non ho bisogno di nessuno. Ce la faccio benissimo da sola! Scheiße![1] disse, cadendo nuovamente a terra mentre si tamponava la ferita.
“Mi permetta di insistere”, replico Alfredo, “Vincenzo, aiutami a fare alzare la signorina!”
“Ma quale signorina! Magari è pure drogata! Dai Madre Teresa, lasciala lì e andiamo” disse Vincenzo.
“Ma che dici! No... stasera ha solo festeggiato un po’ troppo” ribadì Alfredo girando il braccio della ragazza intorno al suo collo per farla nuovamente alzare, “Signorina, ho la macchina qui vicino, ci permetta almeno di riaccompagnarla a casa”.
"Cazzo, sei peggio di una piattola!” fu la risposta di Sofia che, dopo aver fissato Alfredo negli occhi, sorrise e fece cenno di andare.
Vincenzo preferì prendere un taxi, indignato dal comportamento dell'amico e ovviamente dalla presenza della regazza.
Alfredo in compenso da quella sera accompagnò Sofia a casa - o meglio all'ostello dove dormiva - tante altre volte nelle sere successive. Quattro mesi dopo Alfredo e Sofia si sposarono e sua madre non la prese molto bene. Lo pregò e scongiurò di non sposare quella lì come era solita chiamare Sofia, ma Alfredo non sentiva ragioni. Anche Vincenzo non fu molto d’accordo e passò i tre mesi precedenti nel cercare di dissuàdere l'amico dalla follia che stava per compiere. Alla fine accettò, suo malgrado, di fargli da testimone.
Fu un matrimonio intimo con pochi invitati, quasi tutti di Alfredo e di sua madre. Il quasi era rappresentato dall'unico invitato - nonchè testimone - di Sofia: la sua compagna di stanza all’ostello vicino piazzale Lotto.
Venne servito il pesce, per il quale Sofia andava matta, e la filodiffusione inondò delicatamente la sala con i notturni di Chopin, per il quale Alfredo andava matto.
Il giorno dopo partirono in macchina per Venezia, dove Vincenzo aveva prenotato per loro una stanza in una pensione alle spalle di Cà Foscari e un giro guidato ai Piombi e al Guggenheim Museum.

Con il passare dei mesi, Sofia era diventata brava. Le piaceva andare a fare la spesa tutti i giorni e aprire il frigorifero per vederlo pieno. Le piaceva pagare con il bancomat, usare la lavastoviglie e preparare la cena. Una volta si lanciò anche nella preparazione della pasta e fagioli, con il pomodoro pelato e la verdura bollita, come piaceva ad Alfredo e lui la mangiò con piacere, anche se ad ogni cucchiaiata doveva bere un sorso d’acqua per cercare di bilanciare l’enorme quantità di sale che la mogliettina aveva versato nella minestra.
Non diceva più tante parolacce e beveva di meno, anche se continuava sempre a fumare il suo pacchetto giornaliero di gauloises. Ogni tanto, per arrotondare, faceva delle traduzioni dal tedesco per il consolato boemo di Milano. Alfredo non riuscì mai a sapere come mai Sofia conoscesse così bene quella lingua così astrusa, ma non gli importava molto, a lui bastava tornare a casa dall’Università e trovare quell’angelo biondo che gli correva incontro buttandogli le braccia al collo e potersi specchiare nuovamente nei suoi occhi color mare.
“Devi smettere di fumare.” Le ripeteva sempre Alfredo,
“Non vedi come ti stanchi anche solo per salire le scale?”
“Le sigarette non c’entrano.” Disse Sofia, accendendosene una.
”Se in questo dannato stabile ci fosse l’ascensore, non dovrei farmi ogni volta cinque piani a piedi!”
“Se ci fosse l’ascensore, non pagheremmo così poco di affitto!” Le rispondeva sempre l’uomo.
Quella sera di agosto tornò a casa come tutte e sere, con in mano un mazzo di margheritine bianche, così senza motivo, senza una particolare ricorrenza: anche lui aveva imparato ad osare qualche volta. Aprì la porta ma dietro non c’era nessun angelo ad attenderlo questa volta. In compenso trovò sulla mensola dell'ingresso una foto in bianco e nero di Sofia, con dietro riportata una dedica che Alfredo non capì.
“Forse è uscita con la sua amica Anna… Vabè… per questa volta la perdono! Strano che non mi abbia avvertito però.” pensò Alfredo mentre componeva il numero sul cellulare.
“Pronto?” disse una voce maschile e cavernosa al cellulare, immersa in una tremenda confusione.
“Pronto!” disse Alfredo “ma chi parla? Forse ho sbagliato numero.. mi scusi…”
“No.. aspetti!” disse la voce al telefono mentre Alfredo strava per riattaccare “conosce per caso una ragazza bionda, alta circa un metro e settanta, occhi azzurri, capelli biondi…”
“Sì…” rispose Alfredo con un filo di voce “è… è… mia moglie… questo è il suo cellulare… si… Sofia… ma chi è lei?”
“Sono il dottor Santilli del pronto soccorso dell’ospedale maggiore. Sua moglie si è presentata da noi circa un’ora fa con un infarto in corso. E’ meglio che arrivi subito” Disse la voce cavernosa.
Alfredo scese subito, riprese la macchine e corse per la città come mai aveva fatto prima. Il mezzo, non abituato a quel impenno improvviso di velocità, si fermò a pochi chilometri dall’ospedale. E lui corse. Corse come mai aveva fatto prima. Salì le scale del nosocomio facendo gli scalini a due a due e arrivò trafelato al pronto soccorso dove gli si palesò davanti il dottor Santilli, in camice bianco e voce cavernosa in persona.
“Dovè Sofia?” chiese “dov’è mia moglie?”
“Purtroppo…” disse il dottore con gli occhi bassi e la voce ancora più greve “purtroppo non c’è stato nulla da fare. Sua moglie è arrivata qui, senza documenti con un infarto in corso e per quanto ci siamo sforzati…” il dottore non terminò la frase che dovette soccorrere Alfredo che nel frattempo era svenuto.
Quando si riprese, Alfredo entrò nella stanza del pronto soccorso e la vide lì, bella come sempre, distesa e dormiente con la camicetta semi aperta e gli infermieri intenti a mettere a posto gli strumenti. Le diede un bacio come tutte le notti prima di dormire.
L’esame autoptico rivelò che in realtà il cuore di Sofia era malato già da tempo per una malformazione congenita della quale lei doveva esserne sicuramente a conoscenza, per i dolori che provocava.
“Nello stato in cui si trovava il cuore, la paziente poteva avere al massimo sei mesi di vita…” Sentenziò il medico legale.
Al funerale parteciparono le stesse facce vuote che aveva visto ingozzarsi di pesce durante le nozze. Riconobbe solo la compagna di stanza di Sofia, muta in un angolo, avvolta in un estivo vestito bianco. Il suo amico Vincenzo non venne, era ai Carabi con la fidanzata di turno.
Tornando a casa quella sera, Alfredo si sedette sul loro divano: la soffice alcova di tante impreviste serate amorose. Accese il televisore e infilò nel videoregistratore la cassetta del filmino amatoriale che avevano girato durante il matrimonio. La rivide allegra girare per i tavoli, ridendo e scherzando con tutti. Non lo aveva mai notato prima, ma il vestito di lei, per un buffo arricciamento del velo, sembrava formarle dietro le spalle come due ali trasparenti.
“Sembra Campanellino!” - commentò Alfredo - “peccato però che io non sia Peter Pan…” disse scoppiando a ridere.
Spense il televisore, andò in camera da letto, afferrò il pesciolino di vetro comprato a Murano durante il viaggio di nozze e lo scagliò violentemente contro il muro. Il fragile e incolpevole soprammobile si frantumò in una miriade di frammenti iridescenti. Un pezzo della coda andò a posarsi sulla custodia in plastica dell’agenzia di viaggi contenente i due biglietti ferroviari per Parigi, il voucher dell'albergo e le indicazioni per la visita guidata al museo del Louvre che Alfredo aveva preparato sul comò mancando oramai solo pochi giorni alla partenza, prevista per la fine di agosto.
“Maledetto binario 19!” Gridò Alfredo, accendendosi una gauloises.
“Maledetto binario 19!” Ripetè l'uomo scoppiando a piangere.

Alla stazione, ogni sera, lo stesso annuncio continua ad avvertire i viaggiatori che il treno per Parigi è prossimo alla partenza. Flotte di persone con il biglietto tra le mani e il sogno di mangiare una baguette al formaggio seduti sui marciapiedi della Senna si affrettano a salire sui convogli. Fu così anche per una giovane coppia di sposi che, passeggiando lungo i marciapiedi della rive gauche e stringendosi l’un l’altro per ripararsi da un vento gelido alzatosi all’improvviso in quella estiva serata di agosto, videro qualcuno accasciarsi per terra.
“Signore?” disse l’uomo scuotendo la spalla del clochard.
“Ma và là, è un barbone, sarà ubriaco. Lascialo perdere e andiamo” disse la sposina.
Messiè! Si sente bene ? Messiè!“ ripeté lo sposino con tono deciso.
Ma il vecchio barbone non rispondeva. Il suo cuore aveva smesso per sempre di provare emozioni. Il suo volto era sereno e anzi sembrava che le sue labbra accennassero un timido sorriso. Il ragazzo appoggiò il capo dell'anziano parigino per terra e nel farlo notò fuoriuscire dalla tasca interna della giacca una vecchia fotografia stropicciata. L’immagine era ormai logora ma si distingueva ancora il volto angelico di una bellissima ragazza bionda.
Sul retro erano riportati alcuni versi a matita, che recitò ad alta voce:

“E morte non avrà dominio.
E i morti nudi si confonderanno
Con l’uomo nel vento e la luna occidentale;
Quando le loro ossa saranno scarnite e le ossa pulite scomparse,
Avranno stelle ai gomiti e ai piedi;
Per quanto ormai impazziti avranno la mente sana,
Per quanto anneghino in mare sorgeranno ancora;
Per quanto gli amanti si perdano, l’amore resterà;
E morte non avrà dominio.” [2]

Al mio amato A.,
per Sempre tua, S.

Il ragazzo rimise la foto nella tasca interna della giacca dalla quale era fuoriuscita e richiamò l’attenzione di un gendarme che passava di lì in bicicletta. I due sposini gli spiegarono - in uno stentato francese maccheronico - l’accaduto, tornarono ad abbracciarsi e si allontanarono, nella fredda notte di una Parigi di fine agosto.

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[1] In tedesco, Merda!
[2] Dylan Thomas – “And death shall have no dominion” Twenty-five poems (1936)

[Foto] Trey Ratcliff - "Milan Train Station at Midnight" - All Rights Reserved - From Stuck In Customs www.stuckincustoms.com. Released on Creative Commons License.

venerdì 20 aprile 2007

Tutti in carrozza, si parte!!!

Post-it scritti a matita e infilati dentro i jeans per fissare i pensieri partoriti dalla mia mente instabile, mentre procedo in moto con la visiera del casco alzata per godermi il profumo della primavera. Cadaveri di post-it raggrinziti come vecchie crisalidi, uccisi dalla centrifuga della lavatrice, saltano fuori dalle mie tasche e i pensieri in essi contenuti tornano nel limbo dal quali li avevo traghettati fermandomi sul ciglio della strada con una matita in mano. Vecchie agendine, grasse di parole, giacciono seppellite senza lapide dentro quella fossa comune che è diventato il cassetto del mio comodino. 8 anni da esule in questa terra di speranza, che mi ha accolto allattandomi amorevolmente al suo seno. 8 cadaveri cartacei. Il primo anno da adulto. Il secondo da padre.
E' notte. Ne disseppelisco uno, a caso. Mi rileggo piccolo e insicuro. Mi guardo allo specchio: non mi riconosco più in quelle parole.
Ho appena staccato un altro biglietto per un altro treno.
Ho passato la mia prima vita a vivere spensierato il presente perchè non avevo un passato.
Ho passato la mia seconda vita a vivere il ricordo di un passato pesante, accumulato in troppo poco tempo, che come un famelico predatore era pronto ad assalirmi non appena abbassavo le mie difese.
Ho dovuto vivere la mia terza vita nel futuro, per poter continuare ad avere un presente. Adesso per la quarta volta, come un'araba fenice, rinasco dalle mie ceneri.
La mia quarta vita voglio viverla nel presente per godermi ogni piccolo istante. Voglio scendere dal treno ogni qualvolta al finestrino si presenti un panorama che valga la pena di essere fotografato. Non voglio più vedere solo la mia immagine riflessa nel vetro sporco o rileggere per la centesima volta la targhetta del Ne pas se pencher au dehors perdendomi lo spettacolo che scorre via da me per sempre.
Infondo vita a questa creatura virtuale per smetterla di scrivere ovunque, per sapere dove rifugiarmi quando ho bisogno di scappare da me stesso, per lasciare una traccia di tutte le mie vite passate e future che possa essere letta anche da mio figlio quando sarà grande, ma soprattutto perchè il mio cassetto e' pieno! Benvenuti quindi a tutti coloro i quali vorranno condividere con me questa esperienza. Tenete sempre stretto il vostro biglietto tra le mani e non scordate mai perchè o per chi state viaggiando. Ma adesso tirate fuori le carte, le sigarette, un buon vino e cominciamo la partita!!