Perché i food blogger partoriscono solo mini gourmet
Ovviamente, come tutti o quasi gli essere umani, anche i food blogger ogni tanto escono dalla cucina ed entrano in camera da letto per un rendez-vous in fine ligerie di seta (le seconde) o per una sveltina sulla lavatrice (le prime) per riprodursi.
E quando rimangono incinta (oh che volgarità!) mentre le donne normali sboccano per i primi tre mesi (e a volte anche dopo) ogni molecola di cibo che hanno introdotto nel corpo, maledicendo in un colpo solo tutto il cibo del mondo, la natura e ovviamente il compagno; loro, le food chic blogger, non sboccano MAI: hanno solo delle leggerissime e fastidiose nausee che risolvono senza colpo ferire con la marmellatina di rose, cranberries neri del kentucky (comprati in occasione di un voletto low-cost a Strasburgo a soli 30 euro all'etto) e anice stellato (perché, vuoi non mettercelo l'anice stellato?) fatta giusto giusto l'estate prima in previsione del possibile ingallamento.
Arriva poi il tanto atteso giorno del parto e ovviamente mentre le casalinghe di Nocera partoriscono dei bellissimi mascùli di 5,8 Kg tra urla strazianti, le nobili food blogger con 3 libri di cucina all'attivo partoriscono splendide principesse rosa con il metodo finlandese su un seggiolino di kamut con il sottofondo new age di pastori erranti del tibet mentre inviano con l'iphone le foto in autoscatto del parto all'amica.
Infine entrambi i pargoli arrivano a casa, dove: le principesse sono tutte pappa e nanna, espellono ribes e mirtilli e ciucciano latte materno al sapor di viola dall'eburnea mammella mentre la genitrice si gode una tisana di cicoria afgana con le amiche; i campioni cagano l'inferno, urlano alle 4 del mattino facendo incazzare l'operaio albenese del 3° piano e non si attaccano alla tetta neanche con il vinavil.
Ma è sullo svezzamento che le food chic blogger danno il loro massimo, perché le loro principesse non spruzzano le stelline con l'omogeinizzato del discaunt per tutto il soffitto urlando come un macaco incazzato come gli italici virgulti, no, per le loro meraviglie femminee le food blogger preparano una zuppetta fatta con la polpa di una piccola zucca mantovana, sbucciata e tolti i semi, con 4 carote sbucciate, una piccola patata rossa (perché quelle gialle fanno tanto poveraccio) due manciate di lenticchie rosse (che tanto figurati se le nobilbimbe soffrono di coliche da gas intestinali che neanche un litro di milicon potrebbe curare) e un pezzetto di porro (bhè, vuoi non mettere il porro?) e dopo aver frullato il tutto con un bel cucchiaio di mascarpone, i cerbiatti e gli uccellini aggiungono 3 cucchiai di stelline di kamut (ovviamente), un cucchiaino di olio extraverginissimo di oliva e un po’ di parmigiano bio fatto a mano da un pecoraro ottantaduenne di Collecchio e, last but not least, gli spicchi spellati a vivo di un’arancia per dolce; tutta roba che, neanche a dirlo, le dolci fanciulline mangeranno contente e felici a grandi cucchiai senza sporcare neanche la bavetta. Roba che a prepararla una sola volta, il PIL si alza dello 0,2%.
Ora, sarà che io ho due pesti che si spalmavano la pastina come crema di bellezza (il primo) o che la mangiavano solo dondolandosi appesi al lampadario (il secondo), sarà che in frigo il massimo dell'internazionale è la senape della louit frères e la salsa hot messicana o che a me il grana padano del carrefour mi va benissimo, ma ho la netta sensazione che se solo preparassi pedissequamente la zuppa alla zucca mantovana, dopo aver venduto la collanina del battesimo per comprare tutti gli ingredienti, e mi azzardassi a presentargliela, credo non sopravviverei alle durissime rappresaglie e dovrei pure pagare fior di quattrini di psicologo per lo shock infantile procurato, con Tata Lucia che mi prende a calci nel culo, ma io, è noto, non sono un food blogger, ne tantomeno chic.